LA CORRISPONDENZA
(Regia: Giuseppe Tornatore, 2016, con Jeremy Irons, Olga Kurylenko, Shauna Macdonald, Simon Meacock)

Storie di stelle. Storie d’amore. Storie di morte. Coincidenze che fanno pensare. Nella stessa settimana in cui esce nei negozi di dischi Blackstar, ultimo capolavoro di David Bowie in cui il Duca Bianco, nel corso di diciotto lunghi mesi della sua malattia, ha cesellato un’ambiziosa e simbolica opera che non è altro che il suo epitaffio, arriva in sala pure La corrispondenza di Giuseppe Tornatore, film che, al netto del massacro social-mediatico che lo ha accolto preventivamente, è unito all’album di Bowie da un inconsapevole quanto sorprendente filo conduttore. Non è così implausibile o ridicolo, quindi, che nella finzione del grande schermo l’astrofisico (ancora le stelle) malato terminale interpretato da Jeremy Irons negli ultimi mesi di vita organizzi una fitta e complessa rete di messaggi e doni da recapitare post-mortem all’amata Olga Kurylenko (sempre più brava) per non abbandonarla, per farla sentire meno sola e, in ultimo, dirle addio. L’amore come motore dell’umano agire. La morte come definitiva forma d’arte. Riflessioni non scontate all’interno di una pellicola indubbiamente imperfetta (l’eccessivo minutaggio, le stanche musiche di Morricone) e con svariate cadute di tono (la parentesi italiana nell’immaginaria Borgo Ventoso, il leitmotiv del cane re-incarnato (?), l’aquila digitale…) ma anche coraggiosa, e meritevole di più attenzione di quella che le è stata riservata. Qualcosa è cambiato nel cinema di Tornatore a partire da La migliore offerta (ma forse già ne La sconosciuta), e anche questo, benché in tono minore e a parti rovesciate, è un melodramma connotato come un thriller, dove l’oggetto del proprio desiderio è costantemente negato o tenuto a distanza e dove, in ultima analisi, bisogna imparare a convivere con il proprio dolore e i propri sbagli. (ap)
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