13 HOURS – THE SECRET SOLDIERS OF BENGHAZI

(Regia: Michael Bay, 2016, con John Krasinski, Freddie Stroma, Toby Stephens, Pablo Schreiber, David Denman)

13 HOURS – THE SECRET SOLDIERS OF BENGHAZI

Michael Bay è un uomo di destra. Lo è a suo modo, con le proprie idee, nella stessa maniera in cui possiamo definire uomini di destra personaggi come Clint Eastwood e William Friedkin. Ha una visione precisa dell’America e di conseguenza del cinema, che non può essere ignorata e che può dirci tanto sullo stato attuale del Paese. Nello scegliere di raccontare l’assedio da parte di terroristi libici alla villa dell’ambasciatore americano avvenuto a Benghazi nella notte dell’11 settembre 2012, Bay si prende una pausa dai budget faraonici della serie Transformers e tira fuori un war movie atipico, dolente e personale. Retorico? Forse: la sceneggiatura di Chuck Hogan (The Town, il serial horror The Strain) non risparmia di certo un elogio al coraggio dei sei combattenti americani rimasti a fronteggiare i “cattivi” libici. Ma è costantemente dalla parte dei soldati, inviati in terra straniera a combattere una guerra di cui ignorano le motivazioni, contro nemici impossibili da identificare. “Surreale. Mondi diversi”, come dice uno dei protagonisti. Mondi inconciliabili. Patriottico? Le bandiere a stelle e strisce sventolano come in tutti i film del regista, ma disintegrate dai colpi di fucile di un nemico senza volto. E il dito viene puntato contro l’amministrazione governativa che allora si rifiutò di mandare soccorso aereo ai soldati di guardia all’ambasciatore, condannandoli ad una sanguinosa battaglia. Guerrafondaio? Senza dubbio il regista è a favore di una guerra “giusta”, ma mai come in quest’occasione ha mantenuto un tono rassegnato e contrito. Piaccia o meno, il cinema di Bay parla del presente, lo fa con annesse ambiguità e con uno spirito populista che può generare irritazione, ma non è mai superfluo o altezzoso. E se non bastasse, nella lunghissima sequenza dell’assalto notturno alla base CIA a Benghazi, momento quasi western e metafisico in cui il nemico è uno spettro che si avvicina nell’ombra di una no man’s land chiamata non a caso “zombieland”, confeziona un pezzo di grande cinema action, violento e appassionante come pochi. E sa avvalersi al meglio della straordinaria fotografia digitale di Dion Beebe. (ap)

voto_4