MA LOUTE

(Regia: Bruno Dumont, 2016, con Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi, Brandon Lavieville, Raph, Didier Després)

MA LOUTE

Primi anni del Novecento nella zona di Calais: i turisti scompaiono misteriosamente e i poliziotti del posto, come prevedibile, brancolano nel buio. Gli abitanti del luogo nascondono però tanti segreti. La via delle sale italiane era rimasta sbarrata per Dumont dai tempi del flop di Twentynine Palms (2003), ma il ricco cast ha fatto sì che quest’ultimo Ma Loute venga distribuito, sia pure in poche decine di copie. Dopo la svolta comica del suo cinema avvenuta due anni fa con la miniserie P’tit Quinquin (2014, forse troppo osannata: e non va dimenticato che Dumont considerava “comico” anche l’angosciante L’Umanità, addirittura del 1999), il regista transalpino sembra battere il ferro finché è caldo. Nel tono grottesco del film non manca nulla di quanto ci si aspetta dal suo cinema (brutalità, cannibalismo, incesto, ambiguità, inspiegabili levitazioni), ma sembra comunque farsi sempre più strada una vena meno calcolata che in passato. Nel reiterare la gag dell’ispettore grassissimo che cade a terra e rimane a contorcersi come una tartaruga rovesciata finché il suo aiutante non lo rimette in piedi, la regia offre la ribalta non agli abomini – che infatti rimangono quasi di sfondo – e nemmeno al sogghigno come nel precedente lavoro. Invece, pare di cogliere un accenno di pietas che introduce qualcosa di davvero dissonante in un corpus autoriale così impettito. Splendida in ogni caso la storia sentimentale tra Ma Loute e il (la?) giovane Billie. (dz)

voto_3