PETERLOO

(Regia: Mike Leigh, 2018, con Rory Kinnear, Maxine Peake, Philip Jackson, Ian Mercer)

PETERLOO

Con Mike Leigh si va sul sicuro e con lui il Concorso veneziano ha un sicuro pretendente ai premi principali. L’ormai 75enne regista inglese, vincitore di Palme (Segreti e Bugie, 1996) e Leoni d’oro (Il segreto di Vera Drake, 2004) trova il finanziamento degli Amazon Studios per raccontare un episodio storico poco noto (soprattutto fuori dalla Gran Bretagna) che portò alla morte di almeno undici persone e al ferimento di centinaia durante uno scontro tra cavalleria e manifestanti per le riforme democratiche a St. Peter’s Field, a Manchester, nel 1819. La ricostruzione storica è come sempre scrupolosa e la capacità di Leigh di ritrarre le vicende che condussero al massacro è fuori discussione; a colpire, nelle oltre due ore e mezza del film sono in primo luogo i molti discorsi oratori di mirabile nettezza ed efficacia, in particolar modo quelli di cui è protagonista l’ottimo Rory Kinnear nei panni del radicale Henry Hunt. Se il film riesce a non perdere in intensità malgrado la durata, il merito è tutto della regia di Leigh, in grado di sottolineare i dettagli e incorniciare perfettamente le esibizioni di retorica, che sono quasi tangibili, “fisiche” nella loro esattezza. A lasciare ammirati è inoltre la consapevolezza – che lo script mette in luce ad ogni passo – dei più attenti tra i riformisti dell’importanza di muoversi con la massima circospezione, tra mille trappole e rischi, in una progressione che deve avvenire senza strappi troppo forti per non incorrere nella repressione, ma anche perché è nell’essenza di una vera democrazia il destino della mediazione e del compromesso. Se si può trovare un difetto a tanta potenza argomentativa, è forse nel non aprirsi ad altri significati: il discorso del film è alto quanto monocorde, appassionato e lucido quanto tetragono. Ma la qualità di un film come Peterloo è tale che accanirvisi sarebbe un controsenso. (dz)

voto_4