MOMENTI DI TRASCURABILE FELICITÀ

(Regia: Daniele Luchetti, 2019, con Pif, Thony, Renato Carpentieri, Franz Cantalupo, Vincenzo Ferrera)

MOMENTI DI TRASCURABILE FELICITÀ

E’ come un’illogica allegria,di cui non so il motivo, non so cosa sia”, parole di Gaber che ben si adattano al senso del libro di Francesco Piccolo da cui Daniele Luchetti ha tratto il suo ultimo film. Un “piccolo” film ancora più alieno all’interno della filmografia di un autore a cui viene spesso imputato di non essere mai uguale a se stesso, nel bene e nel male. Riflessioni esistenziali con uno strano sapore: Momenti di Trascurabile Felicità è questo, un flusso (anti)narrativo che Luchetti risolve astutamente con la voce fuoricampo di Pif a rendere tutto ancora più stralunato e fiabesco. A partire dalla scelta del suo protagonista, Luchetti opera una precisa scelta di campo, entrare a gamba tesa nel mondo letterario di Piccolo – anche coautore della sceneggiatura – per lasciarlo inalterato e contemporaneamente stirarlo e modellarlo a seconda della sua visione. Le storie raccontate, in sé per sé, non sono né di felicità né di bontà, ma noiose e mediocri trasgressioni di una coppia qualunque. Luchetti riesce però ad avere uno sguardo trasversale: e forse anche attraverso l’uso di Pif sa trasformare il suo film n.14, donandogli quella deliziosa levità che rende straordinario l’ordinario. C’è del gusto, e soprattutto molta intelligenza, nel montaggio e nel “taglio e cucito” delle scene: nell’andare avanti e indietro all’interno della storia e del flusso dei ricordi del protagonista, nello scegliere le inquadrature giuste di un viso “giustissimo” come quello della straordinaria Thony, nel cogliere le sfumature di dialogo e le impercettibili variazioni di sguardi di una coppia di attori dall’alchimia bizzarra ma riuscita. E alla fine, nel saper tirar fuori una commedia agrodolce (in pieno stile nouvelle vague, verrebbe da dire) da storie melense. Soprattutto, Luchetti non è indulgente con il suo protagonista: non ne nasconde punti deboli e difetti, e con la surreale e vincente scelta di casting spinge in controtendenza Pif che continua a recitare con aria bonaria, inserito però nel contesto oscuro di abitudine e conformismo borghese tutto italiano. Lo stile del regista (che questa volta sceglie la politica “alla lontana”, come in Anni Felici: questa volta anzi non viene mai messa sotto i riflettori, se non per quei risvolti sociali del privato che invade il pubblico) si conferma garbato ed equilibrato, pur se destabilizzante nelle scelte: sfiora Allen e Moretti, riversa nel racconto le idiosincrasie di tutti e alla fine modella il libro d’origine in una fiaba modernissima che, come ogni fiaba, guarda nell’abisso e rielabora in maniera delicata il valore del tempo e la sua incredibile, insostenibile caducità. (glf)

voto_4