SERENITY – L’ISOLA DELL’INGANNO

(Regia: Steven Knight, 2019, con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Djimon Hounsou, Diane Lane, Jason Clarke)

SERENITY – L’ISOLA DELL’INGANNO

La prima parte di Serenity non fa di certo presagire un capolavoro, nonostante si voglia rifare a un immaginario noir classico (l’ambientazione portuale come in Mildred Pierce, la Hathaway bionda e con un piano simile alla Stanwyck di La fiamma del peccato). Cominciano a venire dei dubbi, quando Diane Lane e Anne Hathaway consumano i loro amplessi vestite come accadeva in un qualsiasi mediocre thriller degli anni 90: però sarà il peso della notorietà, e possiamo anche accantonarlo come un dettaglio da poco. Ma arrivati a metà film arriva il colpo di scena, che vorrebbe essere eclatante ma ispira solo imbarazzo o ilarità (esilaranti i commenti in rete). La debole architettura narrativa non regge di fronte a uno snodo (spoiler!) plagiato da The Truman Show nell’era del computer, che qui serve non per riflettere sulla manipolazione, ma per usare i più triti stereotipi del melodramma con il mancato rapporto padre/figlio. Quando poi si scopre che il personaggio della Hathaway non ha alcuna ambiguità, e con gli ultimi dieci minuti che sembrano girati da un Nolan in versione povera, si capisce che questo Serenity non vale il recupero nemmeno come scult o guilty pleasure. Eppure l’inglese Steven Knight, che qui gira una sua sceneggiatura con un budget di 25 milioni (in America è stato un fiasco al box office), ci aveva fatto ben sperare con un film semplice e riuscito come Locke: la continuità autoriale nei risultati non è prerogativa di qualsiasi regista. (dv)

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