Pur di non deludere gli spettatori, i film dell’ultima stagione sembrano voler a tutti i costi cercare soluzioni stravaganti per evitare il già visto e ribadire la grandezza del cinema rispetto alle serie TV, conquistatesi un territorio che un tempo era del B-movie. Dal regista del bel Antonia. (dalla distribuzione quasi invisibile) non ci aspettavamo di certo un film d’azione, ma più un biopic su Samuel Beckett dopo quello su Antonia Pozzi. Col suo voler essere a metà strada tra Andrew Davis e Costa-Gavras, Beckett sembra fatto apposta per scontentare tutti: l’uomo braccato che rischia la vita (in stile Il fuggitivo) ritrovandosi nelle trame di una cospirazione politica che mette in dubbio le certezze (Z, l’orgia del potere?). Il tutto punteggiato da molti tempi morti che sembrano far parte di un altro film. Le lunghe inquadrature sul paesaggio o dei viaggi in metropolitana (senza ellissi) vorrebbero riflettere sulla nostra capacità di vedere: il mondo ci appare come un paesaggio e nient’altro, mentre sfugge al nostro sguardo quello nascosto di chi ci spia e ci sorveglia. Dispiace che qualsiasi riflessione si voglia fare venga sempre e solo abbozzata, avendo per tutto il tempo della visione la sensazione di vedere due film che si accarezzano e si scontrano ma non si congiungono mai in un tutto unitario, senza manco il coraggio di essere maledetto o impari e teoricamente incerto. Il pronipote di Visconti amante di De Palma ha forse fatto il passo più lungo della gamba dandoci un film balbuziente. Operazione in tipico stile Guadagnino: girato all’estero, musiche di un artista internazionale prestigioso e che fa abbastanza snob (Ryuichi Sakamoto, che aveva già scritto delle composizioni per The Staggering Girl), l’immancabile bella fotografia del tailandese Sayombhu Mukdeeprom, e come protagonista l’efficiente attore del momento John David Washington, forse su ispirazione di Tenet. (dv)