CANDYMAN

(Regia: Nia DaCosta, 2021, con Yahya Abdul-Mateen II, Teyonah Parris, Nathan Stewart-Jarrett, Colman Domingo, Tony Todd)

CANDYMAN

Anthony McCoy è un artista e pittore di Chicago alla ricerca di ispirazione. La leggenda di Candyman, un misterioso essere dalla mano uncinata che uccide se evocato per nome cinque volte di fronte ad uno specchio, si rivela per lui la possibilità di andare a fondo nel passato e gli fa scoprire qualcosa di orribile, dando il via a una sanguinosa mattanza. Ogni remake e sequel che si rispetti deve superare il prototipo esplicitandone la sostanza, tanto più se horror, come tutti sanno: ma se il piccolo cult del 1992 (Candyman – Terrore dietro lo Specchio) alludeva al tema vampiresco (e cinematografico) e lo svolgeva con diligente acume e una sua dose di originalità (aiutato dalle suadenti musiche di Philip Glass a commento), il lavoro della promettente Nia DaCosta (all’opera seconda dopo Little Woods, 2018) ricade in terreno strettamente politico, a ciò condotto dalla rabbiosa scrittura del cosceneggiatore e produttore Jordan Peele che nel ripartire dal film di Bernard Rose sviluppa un mosaico di rimandi, ma resta preoccupato di rivendicazioni identitarie razziali contrarie ad ogni omologazione di pensiero. Nello squilibrio che ne deriva, si segnala però il talento visivo della regista che, pagando il suo tributo alle necessità splatter, sa comunque mantenere suggestioni in cui il “mostro” vive di echi degli anni Ottanta, dalla nomea di babau di quartiere tipica del primo Freddy Krueger alla palese citazione cronenberghiana della metamorfosi (la “casuale” puntura di un’ape come il volo della mosca dentro il macchinario dello scienziato di The Fly). (dz)

voto_3