ALLONS ENFANTS

(Regia: Giovanni Aloi, 2020, con Anthony Bajon, Karim Leklou, Leïla Bekhti, Arthur Verret, Jonas Dinal)

ALLONS ENFANTS

Léo, un giovane e inesperto militare francese, giunge a Parigi dove è stato assegnato all’antiterrorismo. Il suo compito è quello di pattugliare e sorvegliare le strade della capitale insieme ai suoi commilitoni. Ben presto il clima della caserma unito alla ripetitività alienante e frustrante del suo compito trasformano il ragazzo in un soggetto paranoico. Non so se a voi è mai capitato di percepire un certo disagio quando vi trovate ad attraversare le piazze principali delle vostre città presidiate da militari armati che sorvegliano le folle di turisti e cittadini locali che passano sotto i loro occhi. Personalmente mi sono chiesto in più d’una occasione cosa accadrebbe se uno di questi uomini armati dovesse perdere la testa e trasformarsi in una minaccia concreta per la popolazione, passando dall’altro lato della barricata, da “angelo custode” a potenziale terrorista. Da questa idea, da questa suggestione disturbante e inquietante ha preso vita il secondo lungometraggio di Giovanni Aloi, che nel 2019 aveva esordito dietro la macchina da presa con Tensione superficiale. Il regista nato a Milano nel 1984 ha realizzato Allons Enfants in Francia (dove è uscito col titolo originale La troisième guerre) coadiuvato alla regia da Andrea Barone, prendendo a modello il cinema della New Hollywood e il clima paranoico che si respira in molti film prodotti in quella stagione lontana e irripetibile dell’industria americana. La parabola del soldatino, interpretato dall’ottimo Anthony Bajon, giunto nella capitale dalla provincia francese che a poco a poco precipita in uno stato di ossessione e alienazione mentale provocato dalla routine di un lavoro incentrato sul prevenire pericoli e sventare possibili minacce difficili – se non impossibili – da individuare, ricorda in più d’una occasione quella del tassista psicotico Travis Bickle/Robert De Niro dipinta in Taxi Driver. Le regole d’ingaggio a cui sono costretti ad attenersi questi giovani soldati (talvolta fin troppo giovani) sono abbastanza frustranti e fumose, paradossali e contraddittorie dal momento che non possono eseguire arresti o intervenire in caso di scippi o di atti di violenza su una donna, ma devono limitarsi al loro ruolo di militari impegnati in una guerra astratta e impercettibile che ha come teatri le nostre città. La loro presenza ci disturba e inquieta, a volte preferiamo fare finta di non vederli e di considerarli invisibili (come dice il protagonista in uno dei suoi dialoghi interiori) proprio per evitare di fare i conti e prendere atto della realtà malata e alterata in cui ci troviamo a vivere. Giovanni Aloi tratteggia con mano salda e sicura uno spaccato di vita che la cosiddetta società civile preferisce ignorare, rendendo in modo efficace il clima di tensione crescente che finisce per deflagrare in un epilogo tragico e ineluttabile. (bs)

voto_4