STORIA DI MIA MOGLIE

(Regia: Ildikó Enyedi, 2021, con Léa Seydoux, Gijs Naber, Louis Garrel, Sergio Rubini, Jasmine Trinca)

STORIA DI MIA MOGLIE

Quando si guarda un film come Storia di mia moglie, viene il rimpianto di non aver letto prima il romanzo da cui è tratto (nobilitato in Italia dal catalogo Adelphi) che sembra avere una profondità e uno scavo psicologico assenti nelle immagini. Qui cominciano i primi problemi: se la coproduzione europea permette un buon budget e un cast internazionale di tutto rispetto, d’altra parte amplifica la mancanza di una personalità forte nella gestione del materiale narrativo. Qualcosa sembrava esserci, in questa storia d’amore che procede dialetticamente: Lizzy (Léa Seydoux) è una donna statica ma in continuo cambiamento, laddove Jakob Storr (Gijs Naber) è in continuo movimento ma sentimentalmente statico. L’intera narrazione è sancita da una divisione in capitoli (la moda del momento: si pensi a La persona peggiore del mondo), ed è solo nel personaggio di Lizzy, nella sua imprevedibilità, che il film della Enyedi ha dei momenti interessanti. L’operazione risultava affascinante, una donna che adatta un romanzo scritto da un uomo, abbracciando per tutto il film il punto di vista del capitano e trattando le paure nei confronti dell’altro da sé femminile, tipicamente maschili. La Francia, più di ogni altro in Europa, ha celebrato la nave come non-luogo cinematografico e quale metafora di libertà: dal muto (André Antoine) ai grandi (Vigo) e sottovalutati (Grémillon) maestri, dagli esuli (Le tre corone del marinaio) agli avanguardisti (Godard con Film Socialisme). Qui il massimo che c’è è la memoria dei marinai dormienti del Potemkin e le potenzialità di questo set non vengono esplorate a fondo, ma rimangono delle parentesi narrative. Dire qualcosa di nuovo sull’amore nel 2022 al cinema non deve essere facile, ma allungare un tira e molla fatto di gelosie per tre ore segnala l’ambizione di una regista che annoia involontariamente il suo pubblico. A ciò contribuisce il solito jazz d’epoca, le solite decine di comparse che sfilano ai lati del quadro fuori fuoco e dei vestiti che sembrano rubati dal set di un qualsiasi clone di Midnight in Paris, mentre manca nella cornice d’epoca qualsiasi punctum per destare l’attenzione. Accolto tipidamente all’estero e passato inosservato in Italia: per una volta a ragione. (dv)

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