GENERAZIONE LOW COST

(Regia: Julie Lecoustre, Emmanuel Marre, 2021, con Adèle Exarchopoulos, Mara Taquin, Alexandre Perrier, Arthur Egloff)

GENERAZIONE LOW COST

Altro mistero dei titolisti italiani: le parolacce non sono un tabù se associate a film comici o leggeri, considerando che nel 2017 uscirono Fottute! (in originale Snatched, che non è una parolaccia) e Addio fottuti musi verdi. Se il film ha invece qualche ambizione si opta per un titolo didascalico come Generazione Low Cost, mentre l’originale è Rien à foutre (Non me ne frega un cazzo). Non fosse per la presenza di Adèle Exarchopoulos, le cui qualità attoriali emergono sempre più ad anni di distanza dalla collaborazione con Kechiche per La vita di Adèle, il film dei due registi francofoni non avrebbe alcun interesse dal punto di vista commerciale. Come tematica è perfettamente inserito in un contesto cinematografico che più di ogni altro ha mostrato la vita lavorativa, dai Dardenne a Brizé fino al recente Full Time. Marre e Lecoustre ambiscono a uno sguardo documentaristico con forti rimandi alle ultime tendenze della fotografia contemporanea (dalla crudezza dei corpi nudi di Nan Goldin ai primi piani sugli smartphone di Jeff Mermelstein), senza volersi limitare alle piaghe del precariato, metaforizzando semmai una condizione esistenziale. L’hostess protagonista rappresenta anche lo stato della generazione attuale: senza un radicamento territoriale, in continuo movimento all’interno di uno spazio con coordinate fisse ma astratto e, una volta giunta a destinazione, dal futuro incerto. Perciò la prima parte del film funziona, con la vita lavorativa e sentimentale che non sono in rapporto dialettico ma l’una lo specchio dell’altra. Decisamente meno la seconda in cui la sceneggiatura vorrebbe scavare nei mancati rapporti familiari e d’amicizia dell’affascinante protagonista una volta a terra, in modo che il quadro da generazionale diventi personale: la narrazione purtroppo risuona meno nello spettatore che fa fatica ad appassionarsi al particolare, per quanto sollevato da un finale in cui i legami non si saldano e la routine migliora solo nella facciata. Considerando il passaggio a Cannes, la distribuzione internazionale (negli USA è marchiato MUBI) e il coinvolgimento di un’attrice nota, si stenta a trovare un analogo nel cinema italiano. E infatti in sala non lo vedrà probabilmente nessuno. (dv)

voto_3