BLACK PHONE

(Regia: Scott Derrickson, 2021, con Ethan Hawke, Mason Thames, Madeleine McGraw, Jeremy Davies, James Ransone)

BLACK PHONE

L’adolescente Finney nella Denver di fine anni Settanta: un padre che ha ancora problemi dopo la morte della moglie, la sorella Gwen che fa sogni strani e forse premonitori, i giri scolastici non molto raccomandabili. E in giro c’è uno psicopatico che i media chiamano il Rapace, che rapisce i ragazzi e inizia giochi sadici con loro. Inutile dire che Finney è la prossima vittima e che si rivelerà un osso duro, anche grazie ad un vecchio apparecchio che sembrerebbe fuori servizio. “C’è la voce di un morto al telefono…” scriveva en passant Stephen King nella prefazione di A volte ritornano, la sua raccolta del 1978. Suo figlio Joe Hill, autore del racconto da cui Scott Derrickson ha tratto il film, sembra aver raccolto il testimone dal padre e l’originalità non è dunque da considerare tra i punti forti della vicenda. Il regista di Sinister, per chi scrive uno degli horror più sopravvalutati del nuovo millennio, torna a lavorare con la Blumhouse dopo la fortunata parentesi Marvel di Doctor Strange e si preoccupa soprattutto di mettere tutti gli elementi uno dietro l’altro. Non si possono negarne la diligenza e l’impegno né il desiderio di tornare in qualche modo alle radici, ma una volta compreso il meccanismo che ne è al centro la storia si arena in una certa ripetitività, fortunatamente senza essere prolissa. E Ethan Hawke in una parte da villain che cambia maschere di continuo (e perché poi?) non sposta granché il baricentro verso terreni diversi da quelli di una (purtroppo) scontata vicenda di crescita individuale. Qualche fan lo porterà in palmo di mano, ma è solo per chi si accontenta di poco. (dz)

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