MEN

(Regia: Alex Garland, 2022, con Jessie Buckley, Rory Kinnear, Paapa Essiedu, Gayle Rankin)

MEN

Come si deve rapportare la critica a un film come Men? Se ha l’ambizione di spiegarne i simbolismi, ha già provveduto IMDB con le sue trivia sui tarassachi e il significato delle maschere, e il resto lo aggiungeranno podcast e interviste col regista. Da un altro versante, essendo il film divisivo come pochi altri, probabilmente lo scopo sarà quello di attirare la simpatia dello spettatore, vuoi deluso o soddisfatto, col proprio giudizio di merito. Ed è proprio su questo piano, quello della critica puramente di gusto, che sarebbe interessante studiare Men, per gli squilibri tra critica “ufficiale” e non: perlopiù stroncato su Letterboxd (2.9/5, e le recensioni con più like sono tutt’altro che positive), modestamente apprezzato su IMDB (6.1/10, comunque più di Crimes of the Future che ha 5.9) e quasi all’unanimità elogiato, timidamente o meno, dalle riviste estere del settore (da Sight & Sound alla canadese CinemaScope). Se Garland ha un predecessore nel suo approccio alla fantascienza è sicuramente Andrew Niccol, il cui cinema era già limitato dall’esclusione dell’ambiguità di qualsiasi segno messo in scena, sottolineando continuamente i significanti per far sì che la morale della fabula arrivasse forte e chiara. Men alza ancora di più le ambizioni, cercando di essere un trattato metafisico, mascherato dal genere, sulle ricadute oppressive di una società patriarcale nei confronti delle donne. Ma questo rimane solo a livello di ambizione perché ci si trova di fronte a un riassunto di tutti i difetti di Niccol con l’aggiunta di riferimenti a Solaris e Brood, come se al terzo film Garland potesse parlare al suo collega Cronenberg a testa alta. La forma è anonima, con i suoi droni e i punti macchina che non si preoccupano né di esprimere una visione del mondo né di scardinare alcun punto di vista, solo di fare bella figura su uno schermo televisivo 4K. E la sceneggiatura non è abile nella costruzione di personaggi, spingendoci all’immedesimazione epidermica piuttosto che su una costruzione che favorirebbe la riflessione distanziata. Per chi però si accontenta di uno spot della Ford Fiesta con qualche ambizione non c’è di che lamentarsi. (dv)

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