LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA

(Regia: Mario Martone, 2023, documentario)

LAGGIÙ QUALCUNO MI AMA

Mario Martone è probabilmente il regista contemporaneo più indicato per un tributo a Massimo Troisi, essendo interessato, come dimostrano i suoi ultimi film di finzione, a rileggere episodi del passato di Napoli per renderli noti al pubblico. La provenienza geografica e la vicinanza anagrafica costituiscono solo un punto di partenza, per come intreccia un’analisi critica da video-saggio e l’abbandono al filo dei ricordi personali. Laggiù qualcuno mi ama ha il pregio di essere un documentario per il cinema, e ben poco televisivo. I motivi sono perlopiù legati all’uso del montaggio: quello iniziale che contestualizza la Napoli di fine anni ’70 creando uno spaccato di gran fascino, quello alternato che mette in relazione le scene più impensabili col ciclo di Antoine Doinel, sottolineando l’estraneità della poetica di Troisi a quella della commedia all’italiana antecedente e, soprattutto, la scelta di pochi ma centrati intervistati che non servono ad aumentare il minutaggio ma a dare stimolanti spunti di riflessione: da Sorrentino che svela la propria sotterranea influenza a Fofi che avanza un’interessante pista di lettura, come i duetti Troisi/Arena in quanto aggiornamento dei fratelli De Filippo. Notevole, anche perché emergono lati poco indagati dal grande pubblico su un artista insospettabilmente inafferrabile (in special modo la valenza politica, l’interesse per il femminismo e la seduzione della psicanalisi). Unico neo, come con Totò, si ripresenta la falsa vulgata dell’artista comico popolare sottovalutato dalla critica: spiace, quindi, che non venga minimamente citato il contributo illuminante che in diretta diedero Enrico Ghezzi e altri, come Sergio Germani o Lino Micciché, o tenendo fuori campo riletture interessanti come quella recente di Alberto Pezzotta e Matilde Hochkofler. Si spera che questo documentario serva a far riscoprire Troisi non solo come un comico figlio della generazione del riflusso, ma come autore capace di girare un film filosofico e complesso come Pensavo fosse amore e invece era un calesse, il cui finale mostrato nel documentario è uno degli apici del cinema italiano degli ultimi 30 anni. (dv)

voto_4