RITORNO A SEOUL

(Regia: Davy Chou, 2022, con Park Ji-min, Oh Kwang-rok, Cho-woo Choi, Guka Han, Kim Sun-young)

RITORNO A SEOUL

Davanti a un film con una sceneggiatura e un’interpretazione da parte della protagonista che sembrano generate da un AI, il critico non sa da che parte stare. Faceva ben sperare, visto che il tema dell’identità qui aveva premesse interessanti, ma il film si risolve in un pallido McGuffin per proporci la solita psicologia da salotto della ragazza con sindrome abbandonica: in special modo a leggere il consenso unanime che Ritorno a Seoul sta ricevendo in rete, mentre è solo un Minari per chi abbia nostalgia di Tumblr. Potrebbe trattarsi di una questione generazionale dato che, anche se Davy Chou è classe ’83, il pubblico a cui è indirizzato è lo stesso di La peggiore persona del mondo, Aftersun e dei romanzi di Sally Rooney, under 30 in cerca di uno specchio e nulla più. Per noi “altri”, queste opere costituiscono solo materiale sociologico, ci dicono qualcosa del mondo in cui viviamo, sui cosiddetti giovani, ma manca tutto ciò che rende un film interessante e che ci spinge a rivederlo. Il comportamento di Freddie è un ritratto così stereotipato che chiunque abbia attraversato nella vita anche solo una delle sue tappe può erigerla a monumento (quante sequenze in discoteca come metafora di rancori irrisolti abbiamo visto solo negli ultimi anni?), e commentare sui social “it’s literally me!”. L’arco narrativo è prevedibile e potremmo risolvere commentando con un “bella la fotografia e bravi gli attori”. Invece, speriamo che Davy Chou si scelga uno sceneggiatore degno di tale nome, visto che la tecnica c’è (la scelta di certi silenzi e primi piani è la classica dimostrazione dell’alunno che non si impegna), e che l’esordiente Park Ji-Min finisca in mano al regista giusto, solo così potrebbe bucare lo schermo. Del resto, in questo film, i suoi tagli di capelli hanno più personalità della forma. (dv)

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