ADAGIO
(Regia: Stefano Sollima, 2023, con Pierfrancesco Favino, Adriano Giannini, Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Francesco Di Leva, Gianmarco Franchini)
Manuel, sedici anni, ha per padre un uomo anziano e malmesso, un ex criminale conosciuto come Daytona, un tempo affiliato alla banda della Magliana. Ricattato da alcuni carabinieri corrotti, il ragazzo è costretto a girare dei video compromettenti durante un festino in cui un noto politico traffica in stupefacenti e adesca minorenni. Manuel però si tira indietro e chiede aiuto a Polniuman, amico di vecchia data del padre che lo manda da un altro ex componente della banda, Cammello, malato terminale che per colpa di Daytona ha perso un figlio e si è fatto 12 anni di carcere. Intanto Vasco, il capo dei carabinieri corrotti, prosegue la sua caccia spietata, disposto a tutto pur di rintracciare Manuel e togliere di mezzo un testimone scomodo. Spiace dirlo ma il nuovo film di Stefano Sollima, Adagio, selezionato in concorso a Venezia 80 per ragioni e motivi che ci sfuggono, è alquanto goffo e imbarazzante (come lo era Comandante, altro film misteriosamente in gara scelto per aprire il festival). Ha un ritmo catatonico, una sceneggiatura sconclusionata e claudicante che forse, nelle intenzioni, vorrebbe emulare e scimmiottare il climax di Strange Days di Katryn Bigelow, a cui è impossibile non pensare, soprattutto nella parte finale del film. I personaggi principali sono malamente caratterizzati e privi di spessore, sembrano più macchiette abbozzate che si trascinano sulla scena e compiono azioni al limite del demenziale. Dopo un incipit tutto sommato robusto e dignitoso, il film di Sollima frana sotto il peso smisurato delle sue ambizioni. Sembrano già lontanissimi i tempi di Suburra, il miglior film del regista italiano capace di mostrarci in modo potente ed efficace una Roma plumbea, piovosa, violenta e amorale, con un grande senso del ritmo e dell’azione e una tensione inusitata per il nostro cinema contemporaneo. La Roma di Adagio arroventata e infuocata, sottoposta a ripetuti e costanti blackout ricorda invece, curiosamente, quella di Siccità di Paolo Virzì. Sottotono le prove attoriali, con Mastandrea sprecato, Servillo spaesato e Favino dal look improbabile, se non risibile, a metà strada tra Sloth dei Goonies e Michael Berryman in Le colline hanno gli occhi di Wes Craven. Si salva invece Adriano Giannini nei panni del carabiniere corrotto. Piuttosto anonime le musiche composte per l’occasione dai Subsonica. Il momento più alto di Adagio, terzo capitolo della trilogia criminale romana di Sollima, arriva sui titoli di coda, sulle note inconfondibili di Tutto il resto è noia, interpretata dalla voce ruvida e graffiante di Franco Califano. (bs)
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