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La fine del gioco.

Nel 2008 un attore di belle speranze passate, con un trascorso di alcolista, interpretando un playboy miliardario in una conferenza stampa, apriva inconsapevolmente una nuova era cinematografica: esattamente undici anni dopo il cerchio si chiude e si riapre, allargandosi con lo stesso attore, questa volta scarnificato letteralmente e con un annuncio più intimo.

Robert Downey Jr, Tony Stark, Iron Man e Avengers: Endgame: i giochi sono davvero cambiati per sempre, e con la sapiente guida del produttore galattico Kevin Faige da quel – per tanti versi – lontano film i Marvel Studios hanno realmente, radicalmente tracciato un solco eterno nella storia del cinema, mostrando che anche i blockbuster possono avere un cuore… sempre che possano ancora essere chiamati (solo) blockbuster. Ormai lo sanno anche le pietre: Avengers: Endgame chiude una fase e un’epoca, e dopo l’epilogo che si avrà a luglio con Spider-Man: Far From Home altri personaggi e altre storie porteranno gente al cinema e in sala, continuando ineluttabili la marcia della nuovissima epica moderna, quella della Marvel appunto.

E con Avengers: Endgame i fratelli Russo hanno davvero quadrato il cerchio: un film immenso, ancora più ambizioso del già larger than life Avengers: Infinity War, questo totem di tre ore precise è un meccanismo narrativo di altissima precisione, che racchiude tante anime, tanti segmenti e tanti finali con un ritmo implacabile e con una confezione che più lucida non si può. I personaggi trattati, se possibile, sono ancora più di prima; ma incredibilmente i due fratelli in camera di regia sfruttano il meccanismo della storia per dividerli e raccontarli ad uno ad uno con emozionanti faccia a faccia.

Perché Endgame riesce ad avere una struttura tale da essere tante cose insieme, e tutte perfette: c’è il pretesto del viaggio del tempo, che permette di compiere un appassionato excursus degli undici anni trascorsi, ma in maniera amalgamata allo scorrere degli eventi; ci sono gli eroi divisi in squadre, così da spostare volta per volta il focus su ognuno di loro e – anche grazie ad una mimesi perfetta degli attori, in alcuni frangenti giganteschi (ottimi Jeremy Renner, Scarlett Johansson e Robert Downey Jr) – delinearne tratti caratteriali con approfondimento notevole; e ci sono tutte le trame e sottotrame che si chiudono e si riaprono, portando colpi di scena e malinconici addii – non del tutto nuovi a chi legge però i fumetti Marvel, che da un decennio stanno cercando di “svecchiare” eroi e pubblico in maniera imprevedibile.

Insomma, quello che davvero può definirsi un film perfetto: perché, come dicevamo in apertura, se pure Endgame ha il trailer con più visualizzazioni della storia di Youtube, se macinerà soldi come un trattore al botteghino e se è quello che si dice un vero blockbuster in termini di profitti; ebbene, nonostante questo, ribalta le regole del cinema d’intrattenimento moderno, richiedendo allo spettatore uno sforzo di attenzione non indifferente, e un coinvolgimento sia emotivo che intellettivo non da poco. Senza dimenticare che sono stati proprio i Marvel Studios a portare a regola d’arte le famose “scene post-credit”: che sì, sono un amo per far abboccare e ritornare lo spettatore occasionale, ma sono forse in modo più impercettibile una forma simpatica di trattenere le persone sulla poltrona del cinema ben oltre il limite solito, di obbligarle a gettare uno sguardo sulle centinaia di tecnici impiegati per un film, insomma di rendere ancora una volta interattivo il gioco in sala. Perché poi il vero trionfo è questo: come dicevamo per Infinity War, i Russo hanno vinto al di là di ogni altra considerazione perché hanno ricreato il rito della sala buia, hanno saputo far tornare l’hype per un film di cui, nel momento in cui si va a vederlo, non si conoscono già a menadito svolte narrative e finale, sono riusciti a far reinteressare il pubblico a quello che succede con questa strana macchina chiamata cinema.

Che poi Endgame non sia scevro da piccoli peccati e pecche non ha proprio importanza: è un film emotivamente sontuoso, che si prende tutto il tempo (ben due ore) per presentare i tormenti interiori dei personaggi in scena, che elabora in maniera mai banale argomenti importanti come l’accettazione della perdita. Ponendosi poi come metafora neanche tanto astratta di drammi più contemporanei: quello compiuto da Thanos non è che un eccidio mascherato da azione ponderata dove il fine giustifica i mezzi, e ciò che fanno gli Avengers non è altro che dire sì, va bene l’elaborazione del lutto e la perdita, ma “accettare sì, dimenticare mai”. Due ore meditative e malinconiche, che convergono inesorabili verso una battaglia finale che probabilmente supera in maestosità quella del Signore Degli Anelli. Per poi placarsi in un finale che si dipana in tanti cerchi concentrici, i quali allo stesso tempo chiudono il passato e aprono il futuro, mettono dei punti fermi e dei puntini sospensivi. Insomma, lanciano tante esche e tanti ami. E noi siamo qui pronti e felici di abboccare.

voto_5

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.