L’unico potere possibile del cinema.
Los Angeles, 1969: Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è un attore di serie televisive di media fama, la cui carriera però non è ancora decollata in maniera definitiva nel mondo del cinema hollywoodiano. Assieme a lui c’è l’amico e controfigura Cliff Booth (Brad Pitt), un ex attore in declino che lavora come autista e assistente per Rick. Vicina di casa di Dalton a Los Angeles è la giovane attrice Sharon Tate (Margot Robbie), compagna del regista Roman Polanski.
A quattro anni di distanza da The Hateful Eight, Quentin Tarantino torna dietro la macchina da presa per il nono lungometraggio della sua carriera. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes 2019 e uscito nei cinema americani a luglio, C’era una volta a… Hollywood (in originale Once Upon a Time in… Hollywood) vede il ritorno di uno degli autori di culto del cinema contemporaneo, fatto che ha reso il film uno dei più attesi della stagione cinematografica. Nel variegato e importante cast due ritorni d’eccezione per Tarantino, che richiama a collaborare Leonardo DiCaprio dopo Django Unchained e Brad Pitt dopo Bastardi senza Gloria; oltre a Margot Robbie, scelta per vestire i panni di Sharon Tate, l’attrice e moglie di Roman Polanski uccisa all’età di 26 anni dai seguaci di Charles Manson, il 9 agosto 1969.
Data l’ambientazione nello stesso anno, C’era una volta a… Hollywood diventa il quarto film consecutivo di Tarantino sviluppato nel passato, ormai una dichiarazione d’intenti chiara da parte del regista di Pulp Fiction di ragionare anche sulla rappresentazione e sull’atmosfera di certe epoche storiche. Nello specifico, Tarantino organizza una narrazione originale all’interno di un contesto temporale preciso, amalgamando racconto fittizio ed eventi reali. Ragionando sulla messa in scena di C’era una volta a… Hollywood ci si trova davanti ad un film sospeso nel tempo a livello visivo, una ricostruzione d’epoca raffinatissima, precisa, colorata e coinvolgente. Il film ha un particolare impatto, ipnotico ed è totalmente dentro a luoghi, colori e sensazioni che riescono a restituire un 1969 quasi magico, ma mai banale o superficiale.
Molto vi contribuisce una regia che assume toni calmi e quasi suadenti, cristallina e pulita, raccontando probabilmente l’evoluzione del film meglio di altre cose all’interno del film. Se ci si ricorda lo stile cinetico e furioso di Le Iene o Pulp Fiction, non è difficile restare sorpresi e ammaliati da un approccio totalmente differente. E infatti C’era una volta a… Hollywood è forse il meno tarantiniano dei film di Tarantino, chiaramente meno violento, meno fitto nei dialoghi ma più sottile e ambizioso nella regia e nella scrittura. Rimangono certi vezzi e i giusti narcisismi di stile, ma tutto appare meravigliosamente composto.
C’era una volta a… Hollywood si può definire non a torto una commedia malinconica e ovviamente si può definire come l’ennesimo omaggio o lettera d’amore al cinema di Tarantino, che gira in pellicola 35mm e celebra il Super 8 e il 16 mm, gioca coi generi, plasma e cita la commedia e il western, l’azione e il poliziesco, gli sceneggiati tv anni ’60 e i b-movie, mettendoci dentro anche Bruce Lee, Steve McQueen e un cameo azzeccatissimo di Al Pacino.
Ma il film mantiene una sua particolare complessità e un’atmosfera quasi indecifrabile che, a parere di chi scrive, lo rendono il film di Tarantino meno immediato. C’era una volta a… Hollywood lavora nell’immersione totale della costruzione di un immaginario, di un mondo certamente molto americano ma che – come dimostrava H8 - è l’universo creato dal suo autore, è la Los Angeles di Tarantino, è il 1969 di Tarantino. Sospeso tra uno strato profondo e la semplicità data dalla sceneggiatura accattivante, con C’era una volta a… Hollywood Tarantino usa gli ultimi divi possibili del cinema attuale per dar vita al suo film: trasforma Pitt nel sosia/simbolo di Robert Redford, gestisce e innalza come non mai il talento furente di uno straordinario DiCaprio, mai così bravo, e del suo anti-eroe Dalton e rende intoccabile ed eterea la presenza di Sharon Tate tramite l’attrice giovane più in voga e più talentuosa del momento.
E dato che è il mondo di Tarantino, si permette di plasmare la storia, mostrando con una semplicità disarmante l’unico potere possibile del cinema: modificare gli eventi, rendere innocue e straordinarie le cose a piacimento. Così la strage di Manson diventa un home invasion splatter goliardico e lisergico perché si può fare qualunque cosa, perché se lo mettiamo in scena vuol dire che è vero, in un mix tra realtà e immaginazione che restituisce la forza, ma soprattutto la verità della fantasia filmica.
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