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L’umorismo parolacciaro del mercenario chiacchierone.

Conosciuto dai fan dell’universo Marvel con l’appellativo “il mercenario chiacchierone”, Deadpool nasce dalla fantasia del disegnatore Rob Liefeld e dello scrittore Fabian Nicieza all’inizio degli anni ’90. Dotato di enorme forza, agilità e di un fattore di guarigione (come quello di un altro mutante ben più noto, l’artigliato Wolverine) ma sfigurato nel fisico dagli esperimenti che gli hanno donato i superpoteri, Wade Wilson è in realtà un anti-eroe in piena regola che uccide su commissione, provvisto di un’insopportabile parlantina e di un macabro sense of humour. La popolarità del personaggio è aumentata enormemente negli ultimi anni, al punto che dopo una prima fallimentare apparizione nel film X-Men Le Origini – Wolverine (2009), l’attore Ryan Reynolds, spinto dall’orda di fan che imploravano un film interamente sul loro beniamino, è riuscito a convincere la Fox a mettere in cantiere (con un budget tutto sommato striminzito) una pellicola cucita su misura al personaggio folle e violento di casa Marvel.

Qualche anno e una campagna marketing astutissima dopo, il risultato si è tradotto in oltre centocinquanta milioni di dollari nei primi quattro giorni di sfruttamento solo negli Usa. Cifre incredibili, su cui ci sarebbe da riflettere. Già, perché bisognerebbe sempre diffidare di un film che sente ogni tre minuti la necessità di professarsi anti-convenzionale e cool. Deadpool difatti è quanto di più convenzionale e poco coraggioso possa offrire la Hollywood contemporanea. Pur rispettando grossolanamente lo spirito caustico dei fumetti, la pellicola dell’esordiente Tim Miller è esile e inerte nello sviluppo narrativo: la solita origin story del tizio ordinario costretto da forza maggiore a fare i conti con dei superpoteri, fa da contorno alla più risaputa corsa contro il tempo per salvare la damigella in pericolo. A solleticare la curiosità del pubblico e la sua necessità di “irriverenza” dovrebbero bastare uno humour parolacciaro e volgare, massicce dosi di meta-cinema (il protagonista che sfonda continuamente la quarta parete rivolgendosi al pubblico, riferimenti ad altri film di supereroi come Lanterna Verde, sempre interpretato da Reynolds, prese in giro rivolte a Hugh Jackman), violenza dai toni grotteschi, una colonna sonora infarcita di brani trash (da DMX a George Michael). Ma non si va mai al di là del giochino auto-referenziale in cui si divertirà solo chi ha deciso di stare allo scherzo dal principio. Tutti gli altri è meglio lascino perdere.

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Alex Poltronieri
Nasce a Ferrara, vive a Ferrara (e molto probabilmente morirà a Ferrara). Si laurea al Dams di Bologna in "Storia e critica del cinema" nel 2011. Folgorato in giovane età da decine di orripilanti film horror, inizia poi ad appassionarsi anche al cinema "serio", ritenendosi oggi un buon conoscitore del cinema americano classico e moderno. Tra i suoi miti, in ordine sparso: Sydney Pollack, John Cassavetes, François Truffaut, Clint Eastwood, Michael Mann, Fritz Lang, Sam Raimi, Peter Bogdanovich, Billy Wilder, Akira Kurosawa, Dino Risi, Howard Hawks e tanti altri. Oltre a “Il Bel Cinema” collabora con la webzine "Ondacinema" e con le riviste "Cin&media" e "Orfeo Magazine". Nel 2009 si classifica terzo al concorso "Alberto Farassino - Scrivere di cinema".