I relitti di un naufragio.
Dopo l’amore è un titolo che, come molti hano notato, tradisce l’originale francese L’économie du couple. Ma non semplicemente nel dirottare l’attenzione degli spettatori solo sul dramma bloccato che un uomo e una donna mettono in scena dopo la fine dei sentimenti reciproci. Risulta traditore anche e soprattutto nell’alludere e subito far scordare che c’è un prima, una chiave che introduce al secondo e ultimo atto (che comprende inoltre un explicit rappresentato dal definitivo “divorzio” della coppia, nel finale davanti al notaio). Si tratta a conti fatti di un tradimento voluto, non a caso il titolo inglese è proprio After Love. Il film è infatti tutto in questa grande ellissi, nella scommessa di rendere straziante un (breve ma prolungato) addio senza far vedere nulla di come sia nato il presente dei personaggi. Messa da parte la storia d’amore di Boris e Marie, rimane solo l’economia del rapporto, le nude regole di (mal)funzionamento, il contratto non scritto, tacito e consensuale, su cui i due hanno “edificato” la loro vita di coppia e famigliare (che Boris sia un costruttore disoccupato mi sembra un particolare rivelatore).
La bellissima sequenza del ballo, seguita da un’ultima notte tra Marie e Boris, funziona in questo senso come punto equilibratore dell’opera, per sbarazzarsi di qualsivoglia sospetto di freddezza o di astuzia. Ma l’unità di luogo di cui è fatto quasi totalmente il film mostra che non ci sono vie di fuga: se dopo pochi minuti dall’inizio vediamo Boris che tende la mano invitando più volte Marie a stringerla e non riesce a ricevere un cenno di ritorno, questo è il segno di una situazione ormai cristallizzata nella quale parole, gesti, slanci non vanno al di là di se stessi, e ritornano vuoti su chi li ha tentati. Forse è questo il punto di maggior disagio e fatica – per lo spettatore ma non solo – del film di Lafosse, far sentire come concreta l’estrema distanza in uno spazio tanto circoscritto che dovrebbe (ma così non è ovviamente) avvicinare i protagonisti tra loro. Dopo l’amore difatti non è nemmeno un vero e proprio dramma da camera né una via crucis spirituale, gliene manca il movimento, la tensione verso un altrove, un punto fuori di sé. È piuttosto la descrizione puntuale dei relitti di un naufragio, quel momento in cui il disastro è avvenuto, ma sono ancora assenti le prospettive future. Da qui, l’economia. Il razionamento e la divisione di quanto resta. La casa comune come tavolo sul quale fare a braccio di ferro. Argomenti scricchiolanti usati dall’uno contro le tesi dell’altro, una battaglia in cui trovano posto perfino brandelli inservibili e improponibili di lotta di classe, rilanci sentimentali e ricatti emotivi (come nel caso di Marie che rifiuta alla madre di poter aiutare Boris con i lavori da fare a casa sua). Una contabilità presto impossibile che toglie a Marie e Boris ogni certezza, li avviluppa in rimbrotti, dibattiti, ulteriori discussioni basate su fragili teorie. Se queste due persone sono arrivate al punto di potersi solo dividere e allontanare per tentare di sentirsi meglio, sembra impossibile trovare un terreno comune per ragionare insieme. Il fallimento della logica viene col fallimento dell’amore. Questo sì, è straziante, ed è anche una conclusione molto più politica e terribile di quanto appaia.
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