Sign In

Lost Password

Sign In

Dune - Parte 2 foto2

La seconda parte della saga ispirata ai libri di Frank Herbert.

Non ci sarebbe maggior disastro per il tuo popolo che quello di cadere nelle mani di un Eroe.”

Che guardi al passato, al presente o al futuro, il cinema è espressione della nostra contemporaneità, ne riflette, metabolizza e introietta l’aria e gli umori, cerca di riprodurne la complessità e le tensioni, assiste ai drammi e agli orrori che la attanagliano. Negli ultimi mesi alcuni dei più grandi registi della scena internazionale come Christopher Nolan, Martin Scorsese e Jonathan Glazer hanno dato vita a tre film, tra i più cruciali e importanti dell’ultimo anno, ambientati nella prima metà del Novecento, ma in costante dialogo col presente, incentrati sulla creazione e progettazione della bomba atomica (Oppenheimer), sulla strage dei nativi americani Osage per mano dei bianchi (Killers of the Flower Moon) e sulla vita quotidiana della famiglia di Rudolph Höss, comandante del campo di concentramento di Auschwitz, intenta a edificare il proprio paradiso personale alle porte dell’inferno (La zona d’interesse). E di morte, sangue, orrore e distruzione parla anche Dune – Parte Due, il secondo capitolo ispirato all’omonimo ed epocale romanzo di Frank Herbert, il primo tassello del Ciclo di Dune composto da sei libri pubblicati dallo scrittore statunitense nell’arco di due decadi. Un’opera letteraria terribilmente attuale sebbene sia stata pubblicata alla metà degli anni ‘60, con le sue istanze ecologiche, la ferma condanna dello sfruttamento selvaggio delle risorse del pianeta e il suo campanello d’allarme sui pericoli legati alla figura di un eroe messianico. Il rapporto tra politica e religione è centrale nel romanzo di Herbert (e nei film che ne ha tratto Villeneuve), ambientato com’è in un futuro neomedievale con palesi ed evidenti rimandi alla cultura islamica.

A due anni e mezzo di distanza dall’uscita della prima parte, Denis Villeneuve ci riporta su Arrakis, pianeta arroventato dal sole, inospitale e desolato, ma ambito e conteso dalle grandi case nobiliari perché nei suoi deserti infiniti cresce e si annida la Spezia, una sostanza preziosa indispensabile per consentire i viaggi e i trasporti delle imponenti navi spaziali che garantiscono gli scambi tra i pianeti e il benessere dell’Impero. Lo fa dando vita a un kolossal rigoroso e impeccabile, cupo e imponente, tornando a confrontarsi con un genere, la fantascienza, in cui – da Arrival e Blade Runner 2049 in poi – è diventato un maestro e il principale punto di riferimento grazie al suo approccio autoriale abbinato a un impianto visivo, formale e sonoro decisamente stupefacenti.

Dopo aver dimostrato, con la sostanziale riuscita artistica della prima parte, di essere in grado di superare le innumerevoli insidie legate a un progetto così rischioso e ambizioso, Villeneuve si cimenta con la seconda e ultima parte del primo romanzo di Herbert, in cui gli elementi narrativi e la progressione drammaturgica si sposano perfettamente con la sua naturale propensione per una fantascienza adulta, complessa e matura, fino a sfociare nel misticismo e sprofondare nel fanatismo religioso di cui è intriso l’epilogo. Il regista canadese mette in scena la feroce e sanguinaria lotta per il controllo di Arrakis e la guerra di liberazione dei Fremen che trovano nel giovane Paul Atreides il loro Profeta, l’Eletto, il Mahdi, il Lisan al Gaib che li può condurre alla vittoria.

Paul è restio a seguire la strada indicata e incoraggiata dalla madre, divenuta nel frattempo una temuta e influente Reverenda Madre intenta a diffondere il culto del figlio nella popolazione locale, che lo conduce verso sud, alla guida di tutte le tribù Fremen presenti su Arrakis. È consapevole del pericolo a cui va incontro e della deriva estremista e fondamentalista che lo attende, di una terribile e funesta guerra santa condotta in suo nome che seminerebbe morte e distruzione sul pianeta e in tutta la galassia. Nel corso di un doloroso percorso di crescita, accettazione e presa di coscienza del proprio destino, la sua iniziale purezza e umiltà dovranno fare i conti con l’idolatria religiosa che circonda la sua figura, che da cristologica si tramuta in quella di un leader complesso, ombroso e controverso, e con gli interessi economici e gli equilibri politici che governano l’Imperium.

Dune – Parte Due diviene così una lugubre, tetra, inquietante e monumentale epopea, con scene di una potenza e di una plasticità che tolgono il fiato, come la parte centrale in bianco e nero ambientata su Giedi Prime, il pianeta degli Harkonnen, dove assistiamo a minacciose e imponenti parate militari che richiamano alla mente quelle del Terzo Reich riprese e immortalate da Leni Riefenstahl e a combattimenti feroci e inumani nel frastuono infernale di un’arena assetata di sangue. Questa seconda parte, a cui quasi sicuramente seguirà un terzo e ultimo atto ispirato a Messia di Dune, il secondo volume del ciclo ideato da Herbert, si dimostra ancor più materica e terragna di quanto già non lo fosse la prima, meno cerebrale e più coinvolgente e appassionante nel suo incedere narrativo, contraddistinto da momenti di puro – grande – cinema, come già lascia intendere il maestoso e suggestivo incipit dove un’eclissi solare colora di rosso sangue la sabbia e i promontori di Arrakis mentre dall’alto piovono cadaveri. E ancora: le convulse e frenetiche azioni di guerriglia dei Fremen contro i convogli di estrazione della Spezia degli Harkonnen, le temerarie e indomite cavalcate sui mastodontici e minacciosi vermi della sabbia e il feroce duello all’arma bianca tra Paul e il crudele e psicotico Feyd Rautha interpretato da un impressionante Austin Butler.

Villeneuve si dimostra un abile e sapiente creatore di mondi e universi, probabilmente l’unico in grado di riuscire a gestire e domare una materia narrativa così densa, voluminosa e complessa in modo coerente e senza sbavature. Dune – Parte Due è un blockbuster sontuoso e spettacolare ambientato in un lontanissimo futuro che guarda al presente, alle guerre, alle ingiustizie, al fanatismo e ai mali che assillano la nostra contemporaneità. Se Arrival e Blade Runner 2049 erano opere intrise di fantascienza umanista, in Dune la visione di Villeneuve non può che essere plumbea e pessimista, priva di speranza (come sottolinea Paul in un dialogo con la madre) come i tempi difficili e controversi che stiamo attraversando.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.