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L’assurdità e la violenza del nostro mondo visti attraverso gli occhi malinconici di un asinello.

Dopo l’incredibile Avatar – La via dell’acqua, tra le altre cose un potente manifesto ecologista e antispecista come già lo era il primo capitolo del 2009, sempre per le festività natalizie approda nelle sale italiane anche Eo, l’odissea di un asinello sballottato in giro per mezza Europa, testimone suo malgrado dell’aridità e della disumanità che caratterizzano l’essere umano. Due film che più lontani e diversi non potrebbero essere, per l’enorme e abissale differenza di budget che intercorre tra loro, per le tecniche di ripresa impiegate e per il differente pubblico a cui si rivolgono (Cameron punta a riportare in sala le masse tuttora dormienti nella fase post pandemica, Skolimowski cerca un dialogo con gli spettatori in via d’estinzione dei circuiti d’essai), ma che a pensarci bene hanno qualche punto di contatto. Non solo l’animalismo e l’ambientalismo, temi a cui il regista canadese è sensibile da sempre mentre l’autore polacco sembra averli abbracciato in età avanzata, ma anche il voler regalare al proprio pubblico un’esperienza unica e irripetibile a livello visivo, sonoro e sensoriale. Non è un caso che entrambi siano stati rimproverati e criticati dai loro detrattori per le presunte mancanze di originalità della trama e carenze di profondità dei personaggi. Cameron e Skolimowski hanno un’idea di cinema purissima e primigenia, dove si ribadisce la centralità e l’importanza delle immagini, chiamate a prendersi la scena, a incantare e ipnotizzare, a dialogare col pubblico senza il bisogno a tutti i costi di una sceneggiatura elaborata, complessa e ricercata. Sono film da vivere al cinema, da ascoltare e guardare sul grande schermo, in religioso silenzio, ai quali donarsi e abbandonarsi senza riserve, per godere appieno dell’esperienza filmica e tornare, finalmente, a spalancare gli occhi, a sorprendersi e meravigliarsi dinanzi a immagini così potenti e purissime.

Con Eo Jerzy Skolimowski, autore sfrontato, irriverente e anarchico, impossibile da ingabbiare o etichettare in un genere o in una categoria, a 84 anni suonati dimostra per l’ennesima volta di avere un’inventiva invidiabile e una libertà espressiva e formale che la maggior parte dei registi in attività con la metà dei suoi anni si può solo sognare. Il suo ultimo film, a distanza di ben sette anni da 11 minuti, il lungo precedente in concorso a Venezia nel 2015, è un liberissimo e sentito omaggio a Au hasard Balthazar, il capolavoro di Robert Bresson, unico titolo capace di commuoverlo fino alle lacrime. Un racconto aggiornato e adattato ai nostri tempi dove l’asinello è il protagonista assoluto, ancora più al centro rispetto al film di Bresson. Nel suo errare e peregrinare alla ricerca dell’amata Kasandra, la giovane acrobata con cui aveva vissuto e si era esibito in un circo polacco, l’asinello dal nome onomatopeico Eo (ih-oh) diviene spettatore muto e silente delle miserie e delle debolezze umane, ne subisce l’assurda e insensata violenza, oltre ad assistere a quella perpetrata su altre specie animali. Scritto assieme alla moglie Ewa Piaskowska, che ha co-firmato anche le sceneggiature di altri due film del marito, Quattro notti con Anna e Essential Killing (1), Eo ci regala immagini di grande e sontuosa bellezza, spesso virate al rosso, arricchite da una messa in scena maestosa dove talvolta subentrano elementi bizzarri e grotteschi e momenti volti a spiazzare e destabilizzare lo spettatore. Con Eo Skolimowski imprime e dipinge sullo schermo i pensieri, i ricordi e i desideri di un asinello in un film quasi totalmente privo di dialoghi, come lo era Essential Killing interpretato da un Vincent Gallo impegnato in un vero e proprio tour de force nei panni di un combattente afghano braccato dai soldati americani. Il cineasta polacco non è mai stato interessato a forme di narrazione classiche e tradizionali, almeno nei suoi lavori più riusciti e ispirati, ma a sperimentare e innovare con la forza dirompente delle immagini e con scelte e intuizioni registiche fuori dagli schemi, capaci di imprimere vigore, tensione e una vitalità sfrenata alle sue opere. Vincitore del Premio della Giuria al festival di Cannes, selezionato per rappresentare la Polonia agli Academy Awards, inserito nella top ten dei film più belli e importanti dell’anno dai Cahiers Du Cinéma, Eo è un’opera d’arte ardita e visionaria, firmata da un regista-pittore (2) che nel corso della sua lunga e brillante carriera ha sempre saputo trasformarsi e rinnovarsi, con coraggio, sfrontatezza e un pizzico di follia.

(1)  I due figurano anche come co-sceneggiatori del nuovo e attesissimo film di Roman Polanski, The Palace. Dal canto suo Skolimowski aveva già collaborato a inizio carriera con l’amico e collega Roman Polanski, partecipando alla sceneggiatura del suo primo film, Il coltello nell’acqua (1962).

(2) Negli ultimi anni il regista polacco si è dedicato soprattutto alla pittura, di recente il Museo Manggha di Cracovia ha ospitato la sua mostra In painting I can do anything.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.