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Il cinema orgogliosamente popolare di Gabriele Mainetti.

Roma, 1943. Nella città capitolina, occupata dai nazisti dopo l’annuncio di armistizio del generale Badoglio, quattro fenomeni da baraccone si esibiscono nel malandato circo Mezzapiotta gestito da Israel. Matilde, Fulvio, Cencio e Mario, ovvero una giovane in grado di controllare l’elettricità, un uomo lupo dalla forza sovrumana, un ragazzo che ha il potere di manovrare gli insetti e un nano calamita, sono considerati dei freaks, condannati all’isolamento a causa dei loro strani e indesiderati poteri. Un giorno Israel, una sorta di padre putativo per i quattro, svanisce nel nulla, obbligando Matilde, Fulvio, Cencio e Mario ad andarlo a cercare in città. I quattro non sanno ancora che il nazista Franz, un pianista che ha sei dita per mano e gestisce il Zirkus Berlin a Roma, è sulle loro tracce dopo essere venuto a conoscenza dei loro incredibili poteri grazie alle sue visioni, favorite dall’assunzione di etere, che gli consentono di vedere e prevedere il futuro. Franz è ossessionato dai quattro artisti circensi, convinto com’è che se riuscisse a catturarli potrebbe farne dono al Führer per consentire alla Germania nazista di ribaltare le sorti di una guerra che ormai la vede prossima alla sconfitta.

La meraviglia, la capacità e la volontà di affabulare, il desiderio di regalare al pubblico due ore abbondanti di intrattenimento, nel senso nobile del termine. Questo è Freaks Out, un progetto irto di insidie e di lunga gestazione, a partire dalle riprese durate quasi sei mesi a cui bisogna aggiungere una complicata e prolungata fase di post produzione. Poi, quando tutto era pronto, ci si è messa la pandemia a bloccare l’uscita in sala del film, facendola slittare in avanti di quasi un anno. Gabriele Mainetti (al suo secondo lungo dopo l’exploit all’esordio con Lo chiamavano Jeeg Robot) e i suoi produttori sono stati forti e coerenti, decisi a rifiutare e rispedire al mittente le tante offerte, talvolta molto allettanti, giunte dalle varie piattaforme online, pronte a fare carte false per aggiudicarsi il film e dirottarlo sul piccolo schermo nei lunghi e interminabili mesi di chiusura dei cinema. Freaks Out possiede un ritmo indiavolato, dei personaggi ben delineati capaci di far breccia nello spettatore, introdotti in scena in modo intelligente e funzionale. Uno degli aspetti più nevralgici da gestire, da cui dipendeva in buona parte l’esito finale e la credibilità di un progetto così ambizioso e complesso per il nostro sistema produttivo, era legato all’uso e alla realizzazione degli effetti speciali e digitali. Una sfida che a conti fatti può dirsi vinta e superata, dal momento che il film risulta sempre credibile e gli effetti visivi non sono mai pacchiani, ridicoli o posticci ma ben concepiti e ben gestiti, utilizzati sempre al servizio della narrazione. Mainetti, al contrario di quanto accade di frequente nei cinecomics Marvel o DC, non si lascia mai distrarre dall’effetto speciale roboante e fine a se stesso, lo inserisce in modo intelligente e funzionale alla trama. Una storia a cui non si perde mai interesse, capace di avvincere e appassionare per oltre due ore. Freaks Out vive di contaminazioni, di commistioni di generi, di suggestioni, di una cinefilia che si manifesta attraverso le citazioni più disparate che spaziano dagli ovvi e scontati rimandi al genere supereroistico – che a Mainetti in fondo interessa meno di quanto sembri e di quanto gli venga attribuito in modo affrettato e superficiale – alla commedia all’italiana e a Charlie Chaplin fino a giungere al neorealismo, con un omaggio sentito e esplicito a Roma città aperta di Roberto Rossellini. Mainetti e il sodale Guaglianone, autore del soggetto e della sceneggiatura insieme al regista, osano tanto, si prendono dei rischi non da poco, procedono per accumulo ma hanno l’indubbia capacità di non perdere mai di vista l’obiettivo finale, che resta e rimane quello di intrattenere il pubblico, di affabularlo, di suscitarne lo stupore e la meraviglia.

Ottime le musiche, firmate dallo stesso regista insieme a Michele Braga come già accaduto per Lo chiamavano Jeeg Robot, e la fotografia di Michele D’Attanasio. Perfetto il cast messo assieme dalla produzione, dal gruppo dei quattro freaks in cui spiccano il notevole talento della giovanissima Aurora Giovinazzo e la verve comica di Pietro Castellitto, al villain impersonato da Franz Rogowski, uno dei migliori interpreti del cinema tedesco contemporaneo.

Freaks Out si spinge nel solco già tracciato sei anni fa da Jeeg Robot, ovvero laddove l’odierno cinema italiano non osa neanche immaginare, riuscendo però al tempo stesso a mantenersi semplice e umile, mettendo i suoi importanti valori produttivi (13 milioni di euro di budget) al servizio di un soggetto e di una storia che vuole conquistare il pubblico d’ogni età, risvegliando anche nello spettatore adulto il bambino che è in lui e che non si dovrebbe mai dimenticare d’avere (e di essere stati), soprattutto quando ci si accomoda in sala sperando di venire stupiti dalla magia del cinema. Un cinema, nella fattispecie, schiettamente e orgogliosamente popolare, capace di creare mondi e di farci sognare a occhi aperti.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.