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IL GGG – IL GRANDE GIGANTE GENTILE

IL GGG – IL GRANDE GIGANTE GENTILE

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Dal mondo di Roald Dahl a quello di Steven Spielberg.

Ad un anno di distanza da Il ponte delle spie arriva nei nostri cinema Il GGG, il nuovo film di Steven Spielberg che nel resto del mondo a dir la verità è uscito sei mesi fa, in piena estate, a ridosso della presentazione al festival di Cannes. Nei prossimi giorni i dati del box office ci diranno se questo ritardo distributivo ha nuociuto o meno al film, che peraltro negli States si è rivelato un mezzo flop, con un incasso di 55 milioni di dollari a fronte di un budget complessivo intorno ai 140 milioni.
La giovane Sofia, come d’abitudine, è l’unica ospite dell’orfanotrofio sveglia e vigile nel cuore della notte. Dalla finestra del suo dormitorio scorge la sagoma di un essere enorme che, accortosi di essere stato visto, la strappa dal letto per portarla, a grandi falcate, nel paese dei giganti. Sofia scopre presto che il gigante che l’ha rapita non ha intenzioni malvagie nei suoi confronti. È un essere buffo e solitario che parla un linguaggio strambo e colorito e si nutre solo di cetrionzoli, gli unici ortaggi (decisamente rivoltanti e puzzolenti) che crescono in quelle terre, a differenza degli altri giganti – altissimi e terrificanti – che si cibano di esseri umani. Sofia decide di aiutare il GGG, ovvero il Grande Gigante Gentile, ad escogitare un piano che ponga fine ai terribili banchetti di carne umana di queste enormi e fameliche creature.
L’ultimo lavoro diretto da Spielberg e sceneggiato da Melissa Mathison, a cui il film è dedicato dopo la scomparsa avvenuta nel novembre dello scorso anno e già autrice nel 1982 dello script di E.T. – L’extraterrestre, è tratto dal celebre e omonimo romanzo di Roald Dahl divenuto ormai da anni un classico per ragazzi. Pubblicato nel 1982, già fonte d’ispirazione per il film d’animazione Il mio amico gigante realizzato nel 1989 da Brian Cosgrove, il libro di Dahl non poteva non esercitare un fascino irresistibile per mastro Spielberg, a suo agio nel mettere in scena una storia fantastica che si sposa alla perfezione con la sua poetica. Bello e folgorante l’incipit, con la perfetta ricostruzione di una Londra illuminata dalla luce dei lampioni nel cuore della notte, con la suggestiva entrata in scena del GGG, il rapimento della piccola e la fuga nella terra dei giganti. Simpatici e riusciti i vari escamotage usati dal gigante per mimetizzarsi e occultarsi nel buio, per nascondersi e non farsi notare dai pochi passanti notturni.
Ancora una volta il cinema di Steven Spielberg si cala ad altezza di bambino (e stavolta anche di gigante) per raccontarci con semplicità e delicatezza l’incontro di due solitudini rappresentate da una bambina solitaria e diversa dagli altri piccoli ospiti dell’orfanotrofio e da un gigante (che in realtà è talmente piccolo per la sua specie d’appartenenza da essere ribattezzato “nanerottolo” dai suoi simili) dall’animo gentile costretto a vivere in mezzo ad esseri enormi, rozzi e mostruosi che lo tiranneggiano e lo deridono in continuazione.
Purtroppo Il GGG mostra una flessione nella parte centrale, dove fatica a rilanciarsi e a ripartire, mostrando il fiato corto ed uno schema narrativo un po’ troppo prevedibile, quasi stanco e ripetitivo. Siamo di fronte ad uno Spielberg minore, meno felice e ispirato che altrove, incapace in alcuni passaggi di affabulare ed emozionare lo spettatore come invece sarebbe lecito attendersi. Tuttavia sarebbe ingiusto indugiare su demeriti e difetti perché più avanti Spielberg riesce ad uscire da questa fase di stallo con una parte finale spumeggiante, ironica e divertente. A dir poco irresistibili le scene ambientate a Buckingham Palace, suggellate dagli esilaranti ed esplosivi effetti dello sciroppio, la squisita bibita verde con le bollicine al contrario ottenuta dai cetrionzoli e portata in dono dal GGG alla regina. Un cambio d’ambientazione che dona nuova linfa vitale al film, gestito con brio e senso del ritmo, e che regala attimi di divertimento a grandi e piccini. Il punto di forza del film è da ricercarsi nella resa a livello visivo del GGG, che è decisamente strabiliante e portentosa da un punto di vista tecnico, e insieme profonda e umanissima grazie all’interpretazione in stato di grazia di Mark Rylance, ottenuta tramite il motion capture (già esplorato qualche anno fa da Spielberg in Le avventure di Tintin – Il segreto dell’unicorno). Il grande attore inglese, lanciato sul grande schermo proprio da Spielberg con Il ponte delle spie che gli è valso il suo primo Oscar per il miglior interprete non protagonista, sembra aver dato vita ad un fortunato e felice connubio artistico col re Mida di Hollywood, che lo ha già scritturato per i suoi prossimi progetti cinematografici. Rylance, considerato uno dei migliori attori teatrali britannici, dopo aver stregato le platee internazionali nei panni della spia russa difesa dall’avvocato interpretato da Tom Hanks nel penultimo film di Spielberg, risulta straordinario anche alla sua prima prova “digitale” e dimostra di essere perfetto per la parte del gigante gentile dall’animo nobile e sensibile.
In definitiva, pur non trattandosi del miglior Spielberg, siamo davanti ad un’opera che possiede comunque alcune sequenze magiche e immaginifiche (il riuscito e colorato mondo capovolto dove il GGG si reca per catturare i sogni da portare in dono alle persone addormentate) impreziosita dalle note ispirate, morbide e fiabesche composte dal fidato John Williams. E poi come si fa a non volere bene a un film illuminato sul finale da un sorriso così dolce e bonario che riempie gli occhi e scalda il cuore?

voto_3

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.