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La summa del cinema di Nanni Moretti.

In una delle sequenze più suggestive de Il Sol Dell’Avvenire, il regista protagonista Giovanni si scaglia contro un giovane autore che sul set sta girando il ciak finale del suo primo film, un action pieno di violenza: e anche se il fulcro è uno j’accuse contro l’esibizione inutile, rutilante e a volte teoreticamente ambigua della violenza, il quindicesimo film di Nanni Moretti si accosta (ovviamente, in maniera inconsapevole) al cinema di un vero e proprio cultore della violenza come Quentin Tarantino, anzi meglio ad una particolare declinazione del cinema dell’autore di Kill Bill.

Ovvero: la scelta consapevole che fa Il Sol Dell’Avvenire di mettersi al fianco della Storia – e quindi della realtà – e di abiurarla, di non seguirla, di non volerla, di non sceglierla come unica possibilità esistenziale nonostante lo sia.

Trovato questo, ovvero il nucleo emotivo fondante di un film perfetto nel suo voluto squilibrio, tutte le pseudo polemiche apparse e lette prima, durante e dopo il rilascio del film prendono la consistenza di un refolo di vento. A partire da quelle sulla locandina (pretestuose – cioè l’innocua messa a confronto di quella italiana con quella francese) per finire sul film stesso: perché sia chi si schiera a favore o contro il morettismo, sia chi lo identifica con la sinistra, sia chi alza gli scudi contro i suoi tic, le manie, le fobie, dimostra sia di non capire nulla del cinema di Nanni Moretti come autore, sia di non capire nulla di cinema tout court.

Il Sol Dell’Avvenire è certamente un film di Nanni Moretti: ma è un film che, come ogni opera, ha i suoi codici, i suoi livelli, i suoi linguaggi. Che poco hanno a che vedere con i gusti personali, o poco dovrebbero averne; e men che meno c’entrano con i sentimenti personali, le idee politiche, le idiosincrasie, i fastidi privati.

Anzi, il fatto che i film di Moretti alzino ogni volta un vespaio, pungendo sul vivo lo spettatore, dimostra un primo dato incontrovertibile: cioè che Nanni è riuscito, come pochi o pochissimi altri, a fondere pubblico e privato, individualismo e collettività, creando un immaginario cinematografico che si sovrappone a quello sociale e culturale. E tirando dentro questo vortice chi guarda, coinvolgendolo in prima persona come se si trattasse di una questione personale in tutto e per tutto.

È per questo che i sabot, le canzonette intonate in macchina, il plaid colorato, il set come in Sogni d’Oro, la mamma e Freud, i girotondi, il pallone giocato in piazza non sono gli sterili segni di una filmografia senile e autoreferenziale, ma la confessione straziante di un autore che si è sempre messo impietosamente in gioco in prima persona, senza filtri.

Anche se ora, a differenza che in Ecce Bombo o in Palombella Rossa, una differenza c’è. Si diceva prima “confessione straziante”: perché se decenni fa le proprie manie, il rigore frustrante, l’etica dello sguardo, venivano esposte per mostrare la propria alterità verso un mondo nel quale non si riconosceva e del quale non riusciva a sentirsi parte integrante, ma con altezzosità, oggi, tutto questo viene messo in piazza anzi sul set con la dolcezza malinconica e caparbia di un uomo che ha capito che di quel mondo non farà mai parte. E questo non interessa (più) a nessuno e men che meno a lui.

In questo modo, con quest’ottica, Il Sol Dell’Avvenire diventa una confessione ancora più privata, un’ammissione di colpa quasi, non più un j’accuse ma un je suis désolé. Perché se Michele Apicella avrebbe rincorso e insultato Margherita Buy che lo lasciava, oggi Giovanni la insegue ma cerca di capire, con un piglio ancora più testardo proprio perché non riesce a capire. A capire gli altri in relazione a se stesso, a capire un mondo fuori così dissonante da quello dentro.

Questo è un film che sa come tenere insieme una riflessione sul tempo che passa, sull’ammissione delle proprie inadeguatezze, sul cinema di oggi e sul cinema di sempre, sul comunismo di oggi e su quello di sempre, sulla politica, sull’amore, sulla fine di tutto. Un magma ribollente che poteva risolversi in un caos primario e invece viene messo insieme con una leggerezza straordinaria, incredibile, magari dotato di levità proprio grazie a quelle concessioni narcisistiche evidenziate sopra, e che in soli 93′ si srotola magicamente in un tappeto narrativo lineare e complesso insieme, tutto a creare un pastiche dal sapore unico ed eterogeneo e coerente che si fa racconto intimo e psicologico raffinato e sottile.

Con quei tocchi di genio che fanno perdonare il detour di Tre Piani: dalle comparsate alleniane di Renzo Piano e Corrado Augias al sermone su Cassavetes e Kieslowski, dal tono da musical autarchico alla scena (una delle più belle, intense, inedite degli ultimi anni) della coppia che si lascia in macchina.

Il Sol Dell’Avvenire è allora sì la summa del Moretti-pensiero: ma è soprattutto un film pubblico e privato, un racconto dolceamaro impudico e sincero, una riflessione sull’attualità lucida e intelligente che non rinuncia mai all’autoironia.

Fino alla fine, fino a quel corteo che sembra un quinto stato ed è insieme omaggio felliniano e finale bergmaniano e autocitazione – tutti in fila: Alba Rorhwacher, Jasmine Trinca, Mariella Valentini, Renato Carpentieri, Anna Bonaiuto, Dario Cantarelli, Elio Capitani, Giulia Lazzarini, Claudio Morganti, Gigio Morra, Silvia Nono, Lina Sastri -; che ha la morbidezza e la soffusa e consapevole tristezza di una carezza della sera.

voto_5

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.