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LA BENEDETTA FOLLIA ARTISTICA DI CARLO VERDONE

LA BENEDETTA FOLLIA ARTISTICA DI CARLO VERDONE

Carlo Verdone foto1

Intervista a Carlo Verdone.

Carlo Verdone torna in sala con Benedetta Follia, di cui è regista e interprete. Accanto a lui Ilenia Pastorelli, Lucrezia Lante Delle Rovere e Maria Pia Calzone. Come per ogni sua uscita, abbiamo fatto una chiacchierata che più che di un’intervista vuole avere i connotati di una confessione sul suo cinema, indissolubilmente intrecciato con la sua vita.

 

Colpisce subito il titolo, Benedetta Follia, che al di là della trama sembra richiamare la “follia artistica” che ti spinge a deviare percorso ad ogni nuovo film, che sembra smarcare le aspettative del pubblico…

CV: E questo smarcherà davvero, e ancora di più. Ti sarai sicuramente fatto un’idea del film attraverso la trama, i trailer: poi lo vedrai al cinema e ti troverai di fronte ad un altro film. Eeh… è un film che ti spiazza spero positivamente, perché sembra pieno di cose divertenti ma è un film pieno di poesia e di snodi, di intimità e di momenti poetici come tutta la parte finale. E spiazza anche dal punto di vista della mia recitazione: è molto asciutto, molto tenero e sincero, c’è una comicità basata sui tempi e sulle situazioni. Io non faccio niente di cabarettistico…

Secondo me è una delle mie prove migliori degli ultimi anni.

Questo “spiazzamento” potrebbe essere uno dei motivi di questa tua longevità artistica e professionale?

CV: mah, si, potrebbe essere… in fin dei conti io credo e penso di non aver mai dato lo stesso film allo spettatore. Ho iniziato con i caratteri, con i personaggi; sono passato a Borotalco, e ho deviato la prima volta; è arrivato in seguito un film come Io & Mia Sorella che ha colpito molto per la poesia della vicenda familiare ambientata a Spoleto; poi è arrivata la bomba che è stato Compagni di Scuola. E li capivo quei critici che si chiedevano “ma questo è un autore o un commediante e basta?”, là ho dimostrato con il tempo che una piccola vena di autorialità l’avevo, anche se non starebbe a me dirlo. E poi arriviamo al periodo magnifico, degli anni ’90, dove non ne ho sbagliato uno,  con Maledetto Il Giorno Che ti Ho Incontrato, Al Lupo al Lupo, Perdiamoci di Vista, e il ritornare dei personaggi con Viaggi di Nozze che è un piccolo trattato sociologico, di quel tempo. Ma Compagni Di Scuola rimane un film molto importante, non è un film comico ma profondamente drammatico con grandi battute comiche.

Tutta la tua filmografia, però è un “trattato sociologico”: specialmente negli ultimi film, tu ritrai una solitudine stellare, abissale, un vuoto emotivo quotidiano agghiacciante…

CV: Probabilmente è così, io me ne rendo conto ma fino ad un certo punto, di quello che un mio film può dire o voler dire. Io sono sempre sincero, però, e questo film rispetto agli ultimi che ho fatto (specie gli ultimi due), recupera una verve diversa, forse anche per l’ingresso dei due nuovi sceneggiatori (Nicola Guaglianone e Menotti, nda), che però pretendevano che io facessi solo se fossi convinto. È stata una sterzata notevole quella che ho ricevuto da loro. Poi io so mettere un po’ di equilibrio in tutto, armonizzando le varie parti di un lavoro.               Ma ad esempio, il sogno psichedelico non mi sarebbe mai venuto in mente.

Si sa che sceneggiatura dei tuoi film difficilmente si ritrova nel risultato finale, perché tu sul set improvvisi molto: questa volta com’è andata?

CV: No, in questo film invece a parte qualche cosa io mi sono molto attenuto al testo,  sono poche le occasioni    in  cui mi sono preso qualche libertà,  e proprio per rispetto verso gli sceneggiatori,  non volevo inquinare nulla ed eravamo d’accordo su quanto scritto, semmai io ho lavorato di più sulla creatività di lei.

Infatti volevo arrivare qua: sulla direzione degli attori. Tu hai sempre fatto un lavoro eccellente quando si trattava di far emergere le potenzialità, a volte inespresse, dei tuoi attori e soprattutto attrici (senza tralasciare il tuo lavoro da talent scout fatto ad esempio con Beppe Fiorello, che hai scoperto tu, e con Lorenzo Richelmy, ad esempio). In Benedetta Follia ci sono prove eccellenti di Maria Pia Calzone, Lucrezia Lante Delle Rovere, Ilenia Pastorelli che è una quasi debuttante. Come lavori sugli interpreti?

CV: Io devo individuare prima di tutto la loro anima. Certo, devono avere un bel viso perché il cinema è fatto di primi piani: ma poi devono avere una verve e soprattutto un’anima, il viso deve comunicare quello che c’è dentro. Perché se c’è accademia e basta, l’interpretazione non funziona.

Hai lavorato con produttori storici del cinema italiano: prima Cecchi Gori, oggi De Laurentiis. E’ cambiato il ruolo dei produttori, oggi, nel cinema e nel tuo cinema?

CV: Molto, moltissimo. Io ricordo che con Cecchi Gori non avevo nessun problema, quello che proponevo passava. Non mi sono mai sentito bocciare un tema, una proposta, niente. Mai. Poteva bofonchiare, storcere il naso: ma poi vincevo io. Oggi, con De Laurentiis, dobbiamo metterci a tavolino e fare una trattativa sul film: se a lui non piace una cosa io devo dimostrargli che è una cosa positiva. Se lui me ne propone un’altra, io o lo smonto oppure devo essere d’accordo con lui. Insomma è molto più complesso, perché il produttore entra quasi nel processo creativo di un film. Comunque non abbiamo mai lavorato senza un comune accordo: vabbè, non è che lui non mi fa girare i film, ma mi dice “se puoi girarlo, giralo così”, ma su quest’idea di Benedetta Follia era molto convinto, non ho avuto nessuna censura.

Quest’anno fai quarant’anni di carriera, hai iniziato nel 1978 con Non Stop in tv…

CV: In realtà sono quarantuno, nel 1977 ho iniziato in teatro!

E quando ti guardi indietro, come ti senti? Coprire quattro decadi di costume, società, cultura, è tanto, sarà stato difficile…

CV: Sono tantissimi, sono tantissimi… io credo di essere stato un gran lavoratore, ho capito che era una missione questa dell’attore e del regista. Mi sono dato al pubblico. Ho fatto bene? Questo gran darsi al pubblico, però, è un lavoro ininterrotto, continuo, 365 giorni all’anno. Non ci sono stagioni. Non c’è libertà. Alla fine forse ho perso tante amicizie che andavano alimentate, un sacco di cose, mi sono precluso tante cose private che forse avrei dovuto coltivare di più. Però vabbè, sono scelte. Se decidi di fare questo lavoro, e fai lo scrittore, il regista, l’attore…. E quando ce l’hai il tempo ppè andà ffuori? Io quando so’ le dieci so’ stanco morto, sono come un impiegato che la mattina si sveglia presto. La mia vita è sempre stata così, molto monastica quasi, molto poco mondana.

Ultimamente c’è stata questa piccola delusione per l’esclusione dagli Oscar di A Ciambra di Carpignano. Non pensi che il cinema italiano soffra di eccessivo regionalismo?

CV: Certo, assolutamente sì. Più è regionalizzato, più fai soldi in quella determinata zona dell’Italia, ma non riusciamo a farci capire fuori dall’Europa. Parli dei problemi di quel settore italiano, nemmeno di tutta l’Italia. E quindi sai, quando non tocchi temi universali sbatti la testa contro un muro.

Tu, da Maledetto Il Giorno in poi, specie con Iris Blonde, ma anche Sotto Una Buona Stella, ti sei aperto all’Europa, hai provato a dare ai tuoi film un respiro straniero…

CV: Sì, assolutamente, ma purtroppo di europeo ho raccolto molto poco. Certo, sono andato nei soliti paesi dove va il nostro cinema, il Sud America, la Spagna, i paesi dell’Est… in Europa ci vai, ma il problema è che poi il produttore vende tutto a pacchetti televisivi. E non gliene frega niente dell’estero, anzi era un problema, con gli accordi con le coproduzioni internazionali: per esempio, a Cecchi Gori interessava di più farmi diventare il capogruppo di un listino di uscite e vendermi in televisione. E questa è stata un po’ la fregatura della mia carriera. Quando vado fuori tutti mi chiedono sempre “ma perché i tuoi film non li vediamo qua?”, e io “ma cche ve devo dì?”. Io ho avuto adesso una persona a San Pietroburgo, mi ha detto che al suo cinema è venuta gente che non mi conosce, la prima sera un po’, poi la seconda sera un po’ di più, la terza sera ancora di più, la quarta sera ancora di più… ma io niente, non riesco, è stata gestita molto male la questione estera dei miei film.

Tempo fa avevi detto di aver pensato di volerti dedicare solo alla regia, di intraprendere ruoli totalmente drammatici, parlasti di uno Iago….

CV: Sì, ma lo sai che c’è? Io spero che di questo film si possa notare una regia veramente accurata,  una grande coreografia, una grande fotografia, e non solo nei movimenti ma anche e soprattutto nella direzione degli attori. Credo di aver fatto veramente un lavoro imponente, come attore io stesso. E mi piacerebbe ancora fare soltanto il regista: ma me sò reso anche conto che sto recitando meglio, ma recitare adesso senza fare i personaggi, con la maschera che ho adesso, soltanto concentrato sul mio ruolo, sfruttando i tempi recitativi e basta… è una soddisfazione enorme, perché riesci a fare cose mirabolanti con poco ma sono contento di quello che mi dice la gente, però sai… mai dire mai…

 

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.