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Un film anarchico e imbizzarrito.

The Favourite è l’ultima, in ordine di uscita, delle opere di Lanthimos: si innesta perfettamente nel suo cinema surreale e animalesco, strabordante ed ermetico, allo stesso tempo chiuso nelle sue ossessioni ma – forse proprio per questo – aperto a qualunque tipo di interpretazione, resuscitando il concetto di opera aperta, volontariamente o meno, come qualcosa che cela più significati di quelli che si potrebbe pensare. Certo, rispetto ad altre sue cose, come ad esempio il bellissimo Il Sacrificio Del Cervo Sacro, sembra diverso perlomeno nella forma: eppure l’impressione, a primo acchito, di un pomposo dramma in costume, brucia e si consuma dopo appena dieci minuti di visione, tra situazioni grottesche e dialoghi brillanti, espandendosi come una gara a tre virata al femminile, con tutto il coté simbolico che ciò comporta.

The Favourite parte già col piede giusto, grazie alla superba sceneggiatura di Deborah Davis e Tony McNamara, ed è un’opera fiammeggiante, anche letteralmente, che divampa tra grandangoli e una fotografia spintissima i quali rendono ancora più lacerante lo iato tra ambienti reali lussureggianti e patinati e la vita che si consuma dentro le mura del castello, sboccata e volgare nelle parole e nei fatti. Perché Rachel Weisz non è solo la bellissima concubina-consigliera-vice della regina Olivia Colman, ma ne è anche la vittima/carnefice in un gioco che diventa al massacro quando dal nulla spunta Emma Stone: un gioco che però coinvolge inesorabilmente anche lo spettatore che dal buco della serratura spia i giochi erotici delle tre donne, rivelando che la vera natura delle relazioni umane è solo un ballo in cui vince chi riesce, senza darlo a vedere, a condurre il gioco seducendo l’altro.

Che The Favourite si voglia considerare una romantica storia d’amore sui generis, una sarcastica riflessione sull’ambizione o un pamphlet che mette in risalto i parallelismi tra quella che viene comunemente definita la prima guerra dei tempi moderni (tra il 1702 e il 1707, tra Francia e l’Inghilterra, guidata dalla regina Anna) non importa: come dicevamo, ogni scelta quanto più è arbitraria è libera e legittima, aprendo la strada ad un film anarchico e imbizzarrito. E se prima di questo film Lanthimos si divertiva a scorrazzare tra Kafka e il dadaismo, ora aggiunge qualche goccia del sadismo allegorico di Von Trier (ribaltando completamente la sua fin troppo ostentata, e quindi sospetta, misoginia) e una fotografia densa e satura come in un quadro/inquadratura di Greenaway, con un film che, presentato in anteprima alla Mostra di Venezia 2018, sembra invertire i paradigmi del suo universo poetico, e dove – invece dell’attualizzazione dei miti antichi vestiti da drammi moderni – c’è una storia in costume che declina la confusione etica e sensoriale del presente. Attraverso anche e probabilmente soprattutto con un utilizzo spregiudicato della macchina da presa, ma anche del suono, della musica, dell’immagine stessa che sembra deformarsi nei cortocircuiti di un autore ondivago quanto geniale, feroce e densissimo.

Continua però ad esserci, nella messa in scena di questo regista così personale, e anzi ad insinuarsi nella visione e nella percezione, qualcosa di insano e aberrante. Il paradosso lascia lo spettatore disorientato, e la storia assume l’andatura di un vero e proprio labirinto emotivo, impregnato di senso del perturbante nella maniera più intima e distruttiva del termine, ancorché nascosta, dissimulata, e pronta a colpire all’improvviso. Allo stesso modo i personaggi sulla scacchiera vanno sempre in direzione ostinata e contraria, per sfondare ogni regola del buon senso, per sforare nell’assurdo, per resistere ad ogni norma e ad una normalità che è sempre e solo di facciata, nascondendo innominabili, indicibili, laceranti segreti.

voto_5

Gianlorenzo Franzì
Figlio della Calabria e di Lamezia Terme, è critico onnivoro e militante, preferisce il rumore del mare e il triangolo Allen-Argento-Verdone. Vive e si nutre di cinema che infiamma: si commuove con Lynch e Polanski, Nolan e Cronenberg, pugni in tasca e palombelle rosse, cari diari e viali del tramonto, ma è stato uno dei primi critici ad accorgersi (e a scrivere) in maniera teorica delle serie tv e della loro inesorabile conquista del grande schermo. Incredibile trovi il tempo di fare anche l’avvocato: perché dal 2007 è direttore artistico della Mostra del Cinema di Lamezia Terme - LFF da lui creata, dal 2004 ha un magazine tv (BUIOINSALA, ora in onda dalle sale del circuito THESPACE) e uno in radio (IL GUSTO DEL CINEMA), scrive o ha scritto su Nocturno Cinema, Rivista Del Cinematografo, Teatro Contemporaneo e Cinema, Weird Movies, ha pubblicato due saggi (uno su VOCI NOTTURNE, uno su Carlo Verdone). Ha una good wife ma si è perso nei labirinti di LOST: ancora non si è (ri)trovato.