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Educazione Criminale.

Dopo le borgate romane di Alì ha gli occhi azzurri e il carcere minorile di Fiore, il percorso di Claudio Giovannesi attraverso i (non) luoghi dell’inquietudine giovanile prosegue con La paranza dei bambini, ambientato nei rioni napoletani popolati dalle baby gang. Scritto dal regista insieme a Maurizio Braucci (sceneggiatore di diversi film ambientati a Napoli come Gomorra, L’intervallo, Reality e L’intrusa) e Roberto Saviano, autore dell’omonimo romanzo, il film è volutamente meno aspro e feroce rispetto alla sconvolgente escalation criminale di un gruppo di paranzini descritta nelle pagine del libro. La figura del quindicenne Nicolas, leader spietato e calcolatore, nel passaggio dalla pagina scritta al grande schermo subisce delle trasformazioni significative (non rimane più traccia del conflitto familiare coi genitori) fino a sembrare un ragazzo dall’animo buono schiacciato e oppresso da un destino già segnato. Giovannesi rimane costantemente incollato ai giovani protagonisti, li segue ovunque, nei vicoli, nei locali, nei rifugi, nelle scorribande a bordo degli scooter. La macchina da presa è interessata a osservare gli stati d’animo, a indagarne l’emotività e le fragilità, nascoste e celate dietro sguardi, movenze e atteggiamenti che scimmiottano quelle dei camorristi adulti o dei personaggi iconici dei gangster movie. Il regista romano è invece meno attento e quindi meno vincolato alle dinamiche criminali descritte in modo implacabile e minuzioso nel libro di Saviano e in Gomorra – La serie, di cui Giovannesi ha diretto qualche episodio della seconda stagione, imparando da Stefano Sollima il senso per l’azione necessario per dirigere le scene di sparatorie e d’inseguimento. Un romanzo di formazione criminale, incentrato sull’emotività e sulla perdita dell’innocenza dei suoi giovanissimi protagonisti, che preferisce lasciare sullo sfondo gli stilemi del genere action-crime. In linea e in perfetta coerenza coi suoi lavori precedenti Giovannesi antepone il realismo e la verosimiglianza di ciò che filma e descrive agli eccessi e agli stereotipi insiti nella stragrande maggioranza dei gangster movie. Una messa in scena controllata e misurata, che evita con cura di ricorrere a scene madri e di spettacolarizzare la violenza per indagare il contesto economico e sociale che la produce. Lo script lavora in sottrazione rispetto alle pagine del romanzo di Saviano (che era anche un fine e meticoloso studio del potere e delle dinamiche che lo caratterizzano e contraddistinguono), eludendo le parti più brutali e scabrose per soffermarsi sulla fenomenologia dei sentimenti volta a illustrare cosa accade a un ragazzino che abbraccia il crimine, inizialmente come se fosse poco più di un gioco per trasformarsi poi in un “mestiere” con un’aspettativa di vita di pochissimi anni.

Presentato alla 69/ma edizione della Berlinale, unico film italiano in Concorso, La paranza dei bambini è stato girato nell’arco di nove settimane in scrupoloso ordine cronologico, per aiutare e facilitare il lavoro d’immedesimazione dei giovani interpreti, quasi tutti attori esordienti e non professionisti, scovati nei quartieri napoletani dalla produzione dopo aver visto e provinato più di quattromila ragazzi.

Un’opera difficile e rigorosa che evita scorciatoie facili ma potenzialmente sdrucciolevoli, non tenta la via melodrammatica e si astiene – saggiamente – dal ricatto emotivo per non scadere nel pornografico, nel furbo e cinico sfruttamento del dolore per indurre a facile commozione lo spettatore. Giunto al quarto lungometraggio in poco più di dieci anni di attività, Claudio Giovannesi, classe 1978, dimostra di possedere un’estetica precisa e ben riconoscibile, di aver sviluppato una poetica coerente e cristallina e di essere uno dei talenti più puri e maturi del cinema italiano del nuovo millennio.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.