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LE STREGHE SON TORNATE

LE STREGHE SON TORNATE

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Tremate, tremate, Álex de la Iglesia è tornato.

Quanto sarebbe bello e rigenerante se in Europa si realizzassero molto più spesso opere così ariose, prive di certi autorialismi stantii che non di rado infettano o, nella migliore delle ipotesi, impolverano oltremodo il panorama cinematografico del vecchio continente. Ecco il pensiero che ci attraversa la mente già dai primi minuti di Le streghe son tornate: questo il titolo dell’edizione italiana dell’ultimo folle e gustoso parto creativo di Álex de la Iglesia, che tutto fa fuorché prendersi sul serio, facendo suoi toni ludici, eccessivi e dissacranti. Las brujas de Zugarramurdi – arrivato in Italia ben un anno e mezzo dopo la presentazione all’ottavo Festival di Roma – frulla crime action e fantahorror stregonesco, il tutto fatto pulsare da umorismo grottesco, sbracato e sguaiatamente iconoclasta; è un Balada triste de trompeta senza sesso, sangue, dolore e morte, per citare una delle opere precedenti (e migliori) del regista che, insieme a El día de la bestia, più tornano alla mente vedendo quest’ultima pellicola.

Tra malefici, sacrifici umani, rapine a mano armata ad opera di un’improbabile banda con un bambino al seguito, e una demoniaca guerra dei sessi in cui sardonicamente non si risparmia nessuno – uomini e donne vengono egualmente sbeffeggiati – de la Iglesia dà vita ad un luna park folle, orgogliosamente puerile e sgangherato che parte come un action movie/poliziesco, per poi assumere le definitive sembianze di una horror comedy pulp stregonesca che gronda divertente e divertita cialtroneria.

L’attacco con un’improbabile banda di rapinatori è una vera e propria dichiarazione d’intenti del regista: teneri sprovveduti mascherati da Cristo (con tanto di croce), da soldatino in miniatura, da Minnie e da Spongebob sono impegnati in un’azione criminale goffa e scalcinata.
In seguito ad una rapina a un banco dei pegni di Madrid, inseguiti dalla polizia, si daranno alla fuga diretti verso la Francia, ma una volta giunti a Zugarramurdi, poco prima del confine transalpino, troveranno un microcosmo popolato da freak e soprattutto da vecchie (e non solo) fattucchiere, capeggiate da una malefica Carmen Maura, pronte a sopraffarli con tutto il loro furore demoniaco. Già un plot del genere dà una vaga idea del genere di operazione messa in piedi dal regista spagnolo, il cui unico fine sembra quello di sbeffeggiare pose e icone con un’energia bambinesca, giocando con alto e basso, mixando schizzato cinema di genere iperbolicamente cartoonesco con temi “alti” come il rapporto tra i sessi, gli schemi di comportamento sociali/familiari auspicabili (e puntualmente infranti), non prendendo mai fiato adagiandosi magari su una seriosità fasulla e fuori luogo. No, si gioca, nulla più. E (ci) va bene così.

voto_3

Fabrizio Catalani
Ha fatto e fa cose che con il cinema non c'entrano nulla, pur avendo conosciuto, toccato con mano, quel mondo, e forse potrebbe incontrarlo di nuovo, chi lo sa. Potrebbe dirvi alcuni dei suoi autori preferiti, ma non lo fa, perché non saprebbe quali scegliere, e se lo facesse, cambierebbe idea il giorno dopo. Insomma, non sa che dire se non che il cinema è la sua malattia, la sua ossessione, e in fondo la sua cura. Tanto basta.