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Le possibilità inespresse del cinema nell’ultimo lavoro di Apichatpong Weerasethakul.

Stando al suo autore, la scelta di ambientare Memoria in Colombia è data sia da agenti atmosferici imprevedibili tanto quanto la società e la politica di questa nazione, sia dallo scorrere del tempo. I film di Apitchatpong Weerasethakul [da adesso AW] si basano spesso su concetti astratti e visioni ereditate da una mitologia del suo paese a noi ignota, mescolati a sistemi di elaborazione narrativa ereditati dal surrealismo (come il cadavere squisito sin dal suo esordio, la scrittura automatica o l’improvvisazione con gli attori sul set). Qui continua il suo lavoro sull’immagine e il suono, sullo spazio e il tempo: da qui Memoria sembra ricavare la sua struttura binaria già presente in altri film del regista, come se la sequenza girata nella cava a La Linea segnasse una sorta di punto di demarcazione. La prima parte è interamente basata sul suono: più di un riferimento alla musica (da uno studio di registrazione a un’improvvisazione di un gruppo jazz) e pochi dialoghi alternando luoghi dove prevale il silenzio ad altri in cui i discorsi si perdono tra la folla. La seconda, invece, più debitrice nei confronti di Blissfully Yours nella sua ambientazione, sigilla il contatto ancestrale attraverso un fenomeno psichico e come solo modo della sopravvivenza della memoria. Il suono (della prima parte) sembra dire che crea la memoria, l’immagine mentale e il dialogo la stabiliscono.

Nonostante sia il primo film di AW al di fuori della Thailandia, Memoria è certamente quello più autobiografico. Jessica Holland (Tilda Swinton) è espatriata (scozzese in Colombia) e vive da artista, frequentando biblioteche, gallerie d’arte e musicisti/tecnici del suono, guidata da un’ipersensibilità a cui cerca una spiegazione: probabilmente un’allegoria dell’ispirazione artistica che dall’astratto della mente cerca la materializzazione concreta (di qui i riferimenti al suono terreno e pieno). AW sembra concepire i film a partire dai luoghi scelti, per ciò che emanano, e dalle possibilità che durante le riprese essi offrono al fluire delle immagini: la duplicità di Memoria si manifesta anche nell’antitesi tra i succitati luoghi ultramoderni in cui vaga Jessica e l’ancestralità della seconda parte, in cui da un corso d’acqua nei boschi si finisce verticalmente alle nuvole. Tutta la filmografia del regista tratta del discordante coesistere tra la cultura ancestrale e il violento contemporaneo (AW è sia autore di numerose videoinstallazioni che fruitore di romanzi e fumetti di fantascienza), che si manifesta a vari livelli: Syndromes and a Century era il primo a manifestare dell’ironia nel seguire dei monaci buddisti interessati al pop più commerciale, in Cemetery of Splendour convivevano trailer di filmacci thailandesi e varia umanità (da signore anziane a spiriti millenari) che parlavano di sperma ed erezioni; tutto sempre lavorando sul modo in cui il corpo dell’attore reagisce nello spazio che lo contiene.

Memoria è un punto di arrivo e di evoluzione, evidente anche nell’instillazione di tracce cinefile da parte di AW. La protagonista Jessica Holland è omonima del personaggio principale di Ho camminato con uno zombie (1943, Jacques Tourneur) anche lei in preda a visioni e miti ancestrali più forti di quanto possa umanamente sostenere. Che il vettore narrativo sia una donna che con cadenza irregolare sente da sola dei suoni, ha un antecedente in Si salvi chi può (la vita) di Godard, in cui Nathalie Baye ripete più volte nei luoghi più disparati se qualcuno ha sentito della musica. Infine, la risoluzione dell’enigma, che qui non sveliamo, ha sia parallelismi con l’esordio di AW (Mysterious Object at Noon), sia con il Jia Zhang-ke (tra i tantissimi produttori di Memoria) di Still Life e I figli del fiume giallo. Questo excursus segnala una strada coraggiosa, quello di affidare a qualcosa di immateriale la dannazione della protagonista, ennesimo prodotto dell’estetica surrealista basata sull’accostamento e ulteriore scusa per sperimentare soluzioni sempre nuove e mai viste.

Ha senso indignarsi se un film lento e difficile come Memoria esce solo in 8 sale, soprattutto se si pensa che non c’è Rai Cinema dietro?  Al massimo che avvenga nonostante ci siano Tilda Swinton e il Premio della Giuria a Cannes 2021 (piuttosto che per la firma di AW). Non crediamo che le recensioni positive di buona parte della stampa e della critica (da L’Espresso a La Repubblica, fino a MyMovies e a Paolo Mereghetti su Io Donna) servano a generare interesse, anche se potrebbero costituire un segnale positivo. Inevitabilmente destinato a una nicchia di iniziati che segue con passione questo autore, ignorato dal grande pubblico e dal cinefilo medio che ha sentito solo parlare della stranezza dei suoi film. Può sembrare un atteggiamento di resa, però si sa che una recensione simile è destinata solo a chi prima o poi lo recupererà ma non lo farà in sala, alcune delle quali forse non attrezzate per il complesso impasto sonoro. Resta il fatto che Memoria è notevolmente riuscito, indica altre strade per elaborare gli elementi base di un’arte che ha poco più di un secolo, e che anche grazie a un’opera come questa dimostra di avere ancora tante possibilità inespresse.

voto_4

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Campano, suoi articoli sono apparsi tra gli altri su Segnocinema e Blow Up. Cinefilo folgorato tanto da Godard quanto da Mario Bava ma diffidente di chi limita il proprio pantheon autoriale al solo Occidente. Pensa ancora che la critica debba essere una voce nel dibattito costante tra opera e spettatore e non un diktat a sé stante. Ha un disgraziato debole per le liste.