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PARI + I NEVER CRY

PARI + I NEVER CRY

I never cry foto1

Due intensi e accorati ritratti al femminile in Concorso al TSFF32.

Qual è il filo conduttore che accomuna un film realizzato ad Atene da un regista iraniano trapiantato in Grecia a un film polacco girato per buona parte a Dublino? Oltre a essere stati selezionati per il Concorso Lunghi del 32mo Trieste Film Festival, che sta riservando piacevoli sorprese e un livello qualitativo decisamente alto, entrambi hanno come protagoniste due donne costrette a intraprendere un pellegrinaggio in terra straniera. Il primo vede una madre, la Pari del titolo, inoltrarsi lungo un viaggio pericoloso e oscuro alla ricerca del figlio, partito due anni prima per studiare al Politecnico di Atene grazie a una borsa di studio e scomparso misteriosamente. La donna, giunta dall’Iran per far visita al figlio, compie una discesa agli inferi, col passare dei giorni si perde sempre più nei vicoli e nelle strade di un’Atene notturna ostile, sporca e tumultuosa popolata da reietti, anarchici, prostitute e senza tetto. Il secondo, I never cry, vede al centro dell’azione Ola, una giovane polacca ancora minorenne costretta a compiere un viaggio in Irlanda, a Dublino, per recuperare la salma del padre morto in un terribile incidente sul lavoro. Entrambe le donne, la madre e la figlia, scopriranno qualcosa sui loro cari, il figlio per l’una e il padre per l’altra divenuti nel frattempo quasi estranei, che prima ignoravano completamente. Un viaggio iniziatico in cui saranno costrette a mettersi alla prova, a fare i conti con lati e aspetti dei propri cari sconosciuti fino a quel momento. Un viaggio alla scoperta di se stesse e delle proprie debolezze, in cui Pari cercherà di ritrovare se stessa, di ricordarsi dei sogni e delle aspirazioni mai realizzate, mentre la giovane Ola avrà modo di maturare e di comprendere quanto sia difficile e complicato il mondo degli adulti e il peso delle responsabilità a esso collegate. Due storie declinate al femminile, con al centro due figure diversissime tra loro per età, indole, cultura, estrazione e provenienza, accomunate però da un doloroso e travagliato percorso di formazione e consapevolezza, in cui a emergere sono la forza e la determinazione che dimostrano di possedere anche nei momenti più ostici e critici. Due storie scritte e dirette da due autori, appunto un polacco e un iraniano emigrato in Grecia, che con tatto e acume, intelligenza e sensibilità riescono a delineare e tratteggiare due personaggi femminili a tutto tondo e di ampio respiro, interpretati magnificamente e con un’intensità fuori dal comune da due bravissime attrici, Melika Foroutan e Zofia Stafiej, in grado di caricarsi sulle spalle i rispettivi film. Due scampoli di vita resi in modo autentico e partecipe dai rispettivi autori, due piccole-grandi storie, due piccoli-grandi film in grado di suscitare un’ampia gamma di emozioni e stati d’animo nel pubblico, chiamato a intraprendere e a condividere insieme a una madre e a una figlia un percorso doloroso e accidentato.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.