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Il nuovo adattamento di un intramontabile romanzo di formazione.

Dopo il buon esito di Lady Bird, prima regia in solitaria dopo aver co-diretto nel 2008 insieme a Joe Swanberg Nights and Weekends, Greta Gerwig si cimenta nella trasposizione di un classico letterario intramontabile come Piccole Donne di Louisa May Alcott.

Stati Uniti, seconda metà dell’Ottocento. La giovane scrittrice Jo March si trasferisce dal Massachussets a New York per cercare di pubblicare i suoi racconti e poter aiutare economicamente la sua famiglia. Nel mentre ripensa agli anni trascorsi a Concord, la sua cittadina d’origine, in compagnia delle tre sorelle Meg, Beth e Amy e dell’amico e vicino di casa Laurie. Si tratta del sesto adattamento cinematografico del romanzo ed è uno dei più riusciti e ispirati grazie a uno script puntuale e efficace, firmato sempre dalla Gerwig, e a una regia che sa essere moderna e al contempo classica, solida e senza sbavature. Una rilettura intelligente e rispettosa del libro della Alcott con l’inserimento delle istanze neo-femministe che caratterizzano la nostra contemporaneità. La componente letteraria è sempre ben presente e evidente nel corso del film, sino al sopraggiungere dell’elemento metatestuale sul finale.

L’avvio e tutta la prima parte risultano un po’ faticosi e poco coinvolgenti a causa dei numerosi, insistiti e ripetuti andirivieni temporali che rendono poco fluida la narrazione. Nella seconda parte il film finalmente decolla, riuscendo a emozionare, appassionare, divertire e commuovere. Il cast a disposizione della Gerwig è di primissimo piano, composto da grandi nomi e da astri nascenti di cui sentiremo parlare a lungo in un prossimo futuro. Ottime le prove di Saoirse Ronan, a dir poco perfetta nei panni della protagonista Jo, e di Florence Pugh nel ruolo di Amy (il suo timbro vocale, così unico e peculiare, è uno dei tanti buoni motivi per vedere il film in lingua originale). Il rapporto difficile e conflittuale tra le due sorelle, dai caratteri quasi antitetici tra loro, è uno dei punti di forza e di maggior interesse del film. Jo, il personaggio con cui si identificava la Alcott e con cui si immedesima la stessa Gerwig, è energica, volitiva, determinata a diventare una scrittrice, libera e padrona del suo destino. Una figura di donna singolare e moderna, più vicina alla nostra epoca che a quella in cui è ambientato il romanzo. Amy invece è fragile, viziata e egoista, gelosa e invidiosa di Jo e del suo rapporto con Laurie, di cui è innamorata da sempre, a differenza della sorella che prova per il ragazzo un sentimento di forte e pura amicizia. Il legame tra le due sorelle, così sofferto e contrastato, è il cuore pulsante del film della Gerwig, brava in fase di sceneggiatura nel tratteggio dei due caratteri e fortunata poi a ritrovarsi sul set due attrici così profonde e magnetiche. Colpisce meno Emma Watson nei panni della saggia e bonaria Meg, così come è poco lo spazio a disposizione della piccola e fragile Beth interpretata da Eliza Scanlen, mentre riescono comunque a lasciare il segno e a essere incisive in ruoli di secondo piano due interpreti del calibro di Meryl Streep e Laura Dern. Bravi ed efficaci Louis Garrel e Timothée Chalamet, dotati entrambi di un talento fuori dal comune. Ispirate e funzionali le musiche di Alexandre Desplat, calda, luminosa e sognante la fotografia di Yorick Le Saux.

Dopo aver realizzato con Lady Bird – interpretato sempre da Saoirse Ronan – il suo personale e autobiografico romanzo di formazione Greta Gerwig, (ex) musa del cinema indie americano, dimostra di possedere buone capacità di scrittura e discrete doti registiche nel mettere in scena uno dei coming of age al femminile più celebri e importanti della narrativa statunitense.

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Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.