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SCHEGGE, TUONI E COLPI DI FULMINE – TORINO FILM FESTIVAL

SCHEGGE, TUONI E COLPI DI FULMINE – TORINO FILM FESTIVAL

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Gunda (Victor Kossakovsky, 2020) – TFF/DOC Fuori Concorso

Un documentario girato ad altezza di animale, senza dialoghi, senza la presenza di esseri umani che sebbene assenti riescono comunque a rovinare l’incanto e a spezzare l’idillio bucolico, senza musiche, coi soli suoni della natura e del mondo animale. Un lavoro puramente contemplativo, filmato in un magnifico bianco e nero. Una visione che infonde pace, serenità e armonia, almeno fino al brusco e protratto finale, dove muta pelle e diviene straziante  (verrebbe da citare l’occhio della madre, se ci trovassimo al cineforum aziendale di fantozziana memoria). Gunda è un pregevole documentario animalista diretto dal russo Victor Kossakovsky, quasi un novello Béla Tarr che decide di entrare in una fattoria per realizzare un film sul mondo animale, con protagonisti una scrofa (chiamata Gunda, per l’appunto) e i suoi cuccioli.

Las Ninas (Pilar Palomero, 2020) – Concorso

Un coming of age intimo, delicato, empatico ma al contempo esile e fragile come la sua giovane protagonista. Un’opera prima piuttosto acerba, talvolta anonima, a cui avrebbe giovato un minutaggio ridotto.

Antidisturbios (Rodrigo Sorogoyen, 2020) – Le Stanze di Rol

Rodrigo Sorogoyen non sbaglia un colpo. Dopo due thriller di culto come Que Dios nos perdone e El Reino e dopo Madre, il suo ultimo film presentato lo scorso anno a Venezia, torna al suo primo amore, la serialità televisiva. Antidisturbios, della quale sono stati presentati i primi due episodi al TFF38 all’interno delle Stanze di Rol, è una miniserie scritta e in parte diretta da Sorogoyen incentrata su un nucleo antisommossa della polizia madrilena alle prese con lo sgombero di un immobile che finisce in tragedia. Gli Affari Interni iniziano a indagare: per i componenti del nucleo si mette sempre peggio. Il regista spagnolo possiede un senso per il ritmo e per l’azione davvero impareggiabili. Nelle sue mani anche i dialoghi divengono frenetici e convulsi, girati a una velocità inaudita, come accadeva nel thriller politico El Reino, presentato sempre a Torino un paio d’anni fa. Con la speranza che la serie tv prodotta dalla spagnola Movistar+ possa arrivare anche qui da noi, in modo che la possano vedere più persone possibili, compresi quei pochi fortunati che grazie al festival hanno potuto vedere in anteprima i primi due episodi.

Sin señas particulares (Fernanda Valadez, 2020) – Concorso

Lungo d’esordio di Fernanda Valadez presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival, dove ha vinto il premio del pubblico e il premio speciale della giuria per la miglior sceneggiatura. Un’opera prima di una potenza inaudita. Cupa e ipnotica, disperata e sconvolgente, visivamente impressionante, specie nella seconda parte. Uno dei titoli più belli e interessanti del Concorso.

Moving on (Yoon Dan-bi, 2019) – Concorso

Un’opera prima piana, intima e delicata. Un film coreano che guarda e omaggia i maestri del cinema giapponese del passato (Ozu) e del presente (Kore-Eda).

Casa de Antiguidades (João Paulo Miranda Maria, 2020) – Concorso

Chi frequenta i festival o è abbonato a Mubi – dove si possono recuperare titoli come l’imperdibile As Boas Maneiras e Temporada, che era a Torino nel 2018 – sa bene quanto il cinema brasiliano sia uno dei più vitali, innovativi e interessanti del panorama internazionale contemporaneo. Lo testimonia ulteriormente il film d’esordio del giovane regista João Paulo Miranda Maria, già nella selezione ufficiale di Cannes 2020 che non si è potuta svolgere a causa della pandemia. Un film estremo e visionario, a tratti quasi un horror sgradevole e allucinato ambientato nel sud del Brasile, la parte più ricca e industriosa, nonché intollerante e xenofoba del Paese. Un esempio di realismo magico, radicato in profondità nella cultura sudamericana, un film che rispecchia perfettamente le tante conflittualità e disuguaglianze del Brasile di Bolsonaro, ma anche i pesanti e insostenibili fardelli dovuti al colonialismo europeo.

Lucky (Natasha Kermani, 2020) – Le Stanze di Rol

Teorico e metaforico, uno slasher movie che fa i conti con la nostra contemporaneità in epoca #MeToo. Lontano, vivaddio, dal time loop ludico e fancazzista di Auguri per la tua morte. Forse non tutto fila liscio in sede di sceneggiatura e probabilmente non c’era bisogno della sottolineatura finale, un po’ superflua e ridondante, ma a livello visivo tutta la parte conclusiva è decisamente efficace e suggestiva. Ah, il film finisce in un lampo, e non solo per merito dell’esiguo minutaggio.

Funny Face (Tim Sutton, 2020) – Le Stanze di Rol

In un’America alienata e alienante, fatta di non luoghi, dove prima c’erano delle abitazioni adesso sorge un parcheggio. Le Stanze di Rol si trasformano e rallentano i giri per ospitare una pellicola dai toni rarefatti e dai tempi dilatati. Sembra quasi fuoriuscire dagli anni ‘70 il nuovo film di Tim Sutton, coi suoi losers errabondi e vagabondi per le vie di una città in perenne mutamento, stravolta e deformata da una gentrificazione spietata e selvaggia. Funny Face narra l’incontro di due solitudini, di un ragazzo e una ragazza ai margini della società. E proprio dalla New Hollywood sembra sbucato fuori il protagonista, Cosmo Jarvis – quasi un giovane James Caan – col suo stile recitativo febbrile, nervoso e istintivo con cui riesce a calarsi nei panni di un personaggio fragile e instabile che alterna momenti di dolcezza e tenerezza a violenti e repentini scoppi d’ira.

The Oak Room (Cody Calahan, 2020) – Le Stanze di Rol

Raccontami una storia. Il piacere e il gusto della narrazione, di evocare scenari attraverso il racconto orale. Un thriller oscuro e misterioso girato quasi tutto in interni, basato sulla parola, che di conseguenza poggia le sue basi, solide e robuste, su uno script di ferro firmato da Peter Genoway. Mentre il racconto va avanti e prosegue di storia in storia è quasi impossibile, almeno così è stato per me, non pensare a Stephen King. The Oak Room potrebbe benissimo essere un adattamento da un racconto rimasto nel cassetto del maestro del brivido.

El elemento enigmatico (Alejandro Fadel, 2020) – Le Stanze di Rol

Tre motociclisti/astronauti vagano tra infiniti e sterminati paesaggi montani innevati. Ipnotico e lisergico, con un tappeto sonoro elettrico a dir poco strepitoso. Un trip di quaranta minuti che si vorrebbe non finisse mai, una delle esperienze visive e sonore più suggestive e immersive delle Stanze di Rol. Impossibile non pensare al viaggio psichedelico verso l’ignoto di 2001: Odissea nello spazio. Consiglio spassionato: andate su YouTube e godetevi la presentazione, folle e geniale, del regista argentino. https://www.youtube.com/watch?v=4ODNzXdIfS0&feature=emb_title

Calibro 9 (Toni D’Angelo, 2020) – Fuori Concorso

Prima, vera, sòla del TFF, peraltro telefonata e prevedibilissima. Tralasciando i continui, insistiti e fastidiosi riferimenti a Milano Calibro 9 di Di Leo che lo affossano ulteriormente, creando disagio e imbarazzo durante la visione, almeno nei momenti più trash, viene da domandarsi che senso abbia oggi un’operazione di questo tipo, dopo i vari Gomorra, Là-bas – Educazione criminale, Suburra (il film, la serie è ridicola) e via dicendo. Non giova al film (oltre ai tentativi disperati e autolesionisti di riallacciarsi alla pellicola di culto di Fernando Di Leo, alla stregua di una furba operazione di marketing), la scelta piuttosto infelice del protagonista, abbastanza imbambolato e spaesato. Ah, in un paio di scene, ovviamente, c’è pure Barbara Bouchet.

Pino (Walter Fasano, 2020) – TFFDOC/ITALIANA

Colui che lascia una traccia lascia una ferita. Un lavoro curioso, ricercato e interessante su Pino Pascali, artista pugliese morto nel 1968 a poco più di trent’anni in un incidente in motocicletta. Per comprendere meglio, tra le altre cose, il cinema e la poetica di Guadagnino, che collabora fin dagli esordi con Fasano, autore del montaggio di tutti i suoi film.

Regina (Alessandro Grande, 2020) – Concorso

Esordio nel lungo del regista catanzarese Alessandro Grande, ambientato in una Calabria poco frequentata dal nostro cinema, quella di un paesino di montagna lontano dal mare. Buona e convincente la prova della giovane protagonista, meno la regia, abbastanza piatta, e la scrittura che presenta alcune forzature di troppo. Un film esile che ha un difetto comune a tanto cinema italiano contemporaneo, quello di presentare un’estetica e una messa in scena da fiction televisiva.

 

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.