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STAR WARS: EPISODIO VIII – GLI ULTIMI JEDI

STAR WARS: EPISODIO VIII – GLI ULTIMI JEDI

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Le nuove vie della Forza.

A quarant’anni di distanza dal primo Star Wars arriva al cinema l’ottavo capitolo della saga fanta-stellare creata da George Lucas nel 1977. Gli Ultimi Jedi è il secondo episodio targato Disney o meglio il terzo se si considera Rogue One, il primo spin-off che attinge dall’universo di Guerre Stellari, uscito un anno fa. Il film di Rian Johnson, che oltre a dirigerlo figura anche come unico autore della sceneggiatura, riprende la storia laddove l’avevamo lasciata al termine de Il Risveglio della Forza, il settimo episodio realizzato da J.J. Abrams, che aveva riacceso l’entusiasmo di molti fan della prima ora e instradato al culto di Star Wars le nuove generazioni. Dopo la “classica” battaglia iniziale seguiamo Rey sull’isola di Ahch-To dove si è rifugiato da tempo Luke Skywalker per riconsegnare al Maestro Jedi la spada laser e chiedere il suo aiuto nella lotta contro il Primo Ordine che si prepara a schiacciare la Resistenza, ridotta ormai allo stremo.

Il capitolo di mezzo della terza trilogia di Star Wars, a cui ne seguirà una quarta curata in prima persona proprio da Rian Johnson, è inevitabilmente un episodio di transizione (come lo erano L’Impero colpisce ancora e L’attacco dei cloni) che, dopo una prima parte un po’ goffa e farraginosa, riesce finalmente a decollare e a conquistarsi un suo spazio nell’universo mitopoietico che ammalia gli spettatori dalla fine degli anni ’70. Dopo una lenta e difficile carburazione Gli Ultimi Jedi, il film più lungo dell’intera saga, si rivela come uno dei capitoli più coraggiosi ma anche uno dei più irrisolti e meno compiuti. Se due anni fa Abrams era andato sul sicuro, servendosi degli amatissimi personaggi dei primi film (Han Solo, Luke e Leia) come trait d’union tra la vecchia e la nuova trilogia per gettare un ponte che unisse saldamente le due epopee (che in fondo sono e sono sempre state una soltanto), Johnson sceglie di osare e di prendersi dei rischi. In questo ottavo capitolo assistiamo a un progressivo distacco e allontanamento dal vecchio e nostalgico Star Wars per cercare di gettare le basi di una nuova mitologia, capace di camminare con le proprie gambe, senza il sostegno di un passato glorioso ma soffocante e ingombrante. Non è certo un caso se qui l’impatto di Luke Skywalker è meno forte e iconico, meno nostalgico, di quanto lo era stato quello di Han Solo nell’episodio precedente. Uno degli aspetti più interessanti nel discorso portato avanti da Johnson, in parte già accennato da Abrams, riguarda il confronto-scontro generazionale tra i personaggi che hanno contribuito a fondare il mito di SW (riportati in scena per passare il testimone e poi accomiatarsi definitivamente) e i nuovi protagonisti, i giovani, chiamati a farsi carico della loro pesante e importante eredità. Emblematico in tal senso il dialogo intenso e commovente (uno dei tuffi al cuore del film) tra Luke e un altro personaggio – amatissimo dai fan ma di cui è bene non svelare l’identità – dove si sottolinea l’importanza fondamentale delle nuove generazioni. Il confronto, costante e conflittuale, tra il vecchio e il nuovo, tra chi ha dato vita al mito e chi è chiamato a rinverdirlo appropriandosene una volta per tutte, è uno degli aspetti centrali e peculiari di questo capitolo di mezzo, più cupo e più denso del precedente. A non convincere appieno è la scrittura, che mostra una certa debolezza e fragilità, scontando soprattutto una prima parte macchinosa e prolissa, con alcuni snodi narrativi forzati e pretestuosi. La trama è esile, talvolta quasi inconsistente, uno dei punti deboli insieme alla (mancata) caratterizzazione di alcuni personaggi. Continua a non convincere Domhnall Gleeson, troppo caricaturale e ai limiti del parodistico nei panni del generale Hux, così come il Leader Supremo Snoke, personaggio superfluo e inutile. Fortunatamente Kylo Ren, nel capitolo precedente villain in divenire sulle (impossibili) orme di Darth Vader, acquista un maggior spessore drammaturgico, specie nel rapporto che lo lega a Rey. Sono loro i protagonisti principali di un confronto-scontro che qui viene ripreso, ampliato e rinnovato e che avrà (speriamo) il suo culmine nell’episodio nove. Incerti, fragili e insicuri, in cerca di una propria collocazione, alla ricerca di padri putativi (Rey) o desiderosi di affrancarsene definitivamente (Kylo Ren), rappresentano il cuore pulsante del film, la sua prima ragion d’essere.

Non privo di difetti e lungaggini, Gli Ultimi Jedi si riscatta con una seconda parte a tratti sublime e appassionante, grazie a un generoso Oscar Isaac nei panni del pilota spaccone e impulsivo Poe Dameron, a una dolente e umanissima Leia interpretata per l’ultima volta da Carrie Fisher (a cui il film è dedicato), a un Millennium Falcon che continua a colpire al cuore nei suoi duelli stellari, con Chewbacca e gli irresistibili Porg a regalare sorrisi a grandi e piccini e con le incantevoli volpi di cristallo a impreziosirne l’epilogo.

Tra due anni sapremo se  J.J. Abrams, chiamato nuovamente in cabina di regia dalla produzione dopo il licenziamento di Colin Trevorrow che avrebbe dovuto dirigere il nono capitolo, proseguirà sulla strada impervia e insidiosa intrapresa da Rian Johnson – ma anche Gareth Edwards in Rogue One aveva saputo mostrare un approccio insolito e coraggioso – o se preferirà ripiegare sul sicuro senza scontentare quella consistente fetta di fan che in fondo aspirano a vedere sempre lo stesso film. L’intenzione, almeno in casa Disney, è che il mito prosegua il più a lungo possibile, magari rinnovandosi, e che la Forza continui a scorrere potente.

voto_4

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.