A long time ago in a galaxy far, far away…
A distanza di 42 anni dal primo Star Wars, scritto e ideato da Lucas nel lontano 1977, giunge al termine la saga fantastellare che ha infiammato e appassionato diverse generazioni di spettatori. In cabina di regia ritroviamo J.J. Abrams (autore anche della sceneggiatura assieme a Chris Terrio) che quattro anni fa aveva diretto il settimo episodio, ovvero il primo capitolo della nuova trilogia, per poi essere sostituito due anni dopo da Rian Johnson per Gli Ultimi Jedi. Johnson, che dovrebbe dirigere una nuova trilogia ispirata all’universo di Star Wars ma senza legami diretti con i personaggi della saga composta ormai da nove film, aveva osato fin troppo nell’ottavo capitolo, prendendosi delle libertà e dei rischi che avevano destabilizzato una buona fetta dei fan e fatto tribolare mamma Disney che aveva registrato un vistoso calo degli incassi rispetto al precedente capitolo. Abrams con il settimo episodio era andato sul sicuro, aveva riacceso l’entusiasmo nei fan della prima ora e instradato al culto di Guerre Stellari le nuove generazioni realizzando una sorta di sequel/remake in chiave vintage-nostalgica del capostipite del 1977. Qui ripete in parte la stessa operazione, premiata quattro anni fa da un clamoroso successo di pubblico, firmando un capitolo conclusivo che porta a compimento la saga della famiglia Skywalker attraverso un omaggio a Il ritorno dello Jedi, il terzo film della trilogia originale.
L’ascesa di Skywalker presenta una storia abbastanza stiracchiata, priva di spunti particolarmente originali, con un avvio faticoso e uno sviluppo narrativo un po’ logoro e pretestuoso, come dimostra la scelta di riportare in vita l’imperatore Palpatine, villain di ben altra forza e caratura rispetto all’inconsistenza e all’evanescenza del leader supremo Snoke, uscito – fortunatamente – di scena nell’episodio precedente. Una trovata un po’ forzata che la dice lunga sull’inefficacia dei “cattivi” di questa nuova trilogia, privi di spessore e mai all’altezza di quelli della prima trilogia. A conti fatti uno dei problemi principali di questa trilogia sequel sta nel non essere riusciti in fase di scrittura a dar vita a personaggi altrettanto potenti, iconici e riusciti rispetto a come erano stati caratterizzati all’epoca i vari Darth Vader, Han Solo, Luke Skywalker, Leia, Chewbacca, Yoda e gli stessi droidi. Non a caso i protagonisti di allora sono stati utilizzati come trait d’union tra le due trilogie, per gettare un ponte tra le due epopee, e sebbene abbiano avuto minor spazio dei nuovi sono stati gli unici in grado di emozionare e commuovere davvero il pubblico in questo nuovo arco narrativo. Il confronto-scontro generazionale tra i personaggi che hanno contribuito a fondare il mito di SW e i nuovi protagonisti, i giovani, chiamati a farsi carico della loro pesante e importante eredità, è stato uno degli aspetti più importanti e interessanti di questa nuova trilogia prodotta dalla Disney. Un altro tema portante, che giunge qui a una sua naturale conclusione, è da rintracciare nel rapporto conflittuale e nel confronto-scontro tra Kylo Ren e Rey che ha caratterizzato l’intera trilogia. Se nei due episodi precedenti risultavano fragili e insicuri, in cerca di una propria collocazione, alla ricerca di padri putativi (Rey) o desiderosi di affrancarsene definitivamente (Kylo Ren), in L’ascesa di Skywalker li ritroviamo adulti, consapevoli delle proprie forze, padroni del loro destino, pronti al sacrificio in nome di una causa più grande. Se il coming of age fantasy/sci-fi incentrato su Kylo Ren e Rey è stato ben gestito e chiuso in modo intelligente, non si può dire lo stesso di altri personaggi che via via hanno perso spessore e importanza, come Finn che in questo finale risulta completamente inutile e trascurabile. Diverso il discorso per il Poe Dameron di Oscar Isaac che avrebbe meritato più spazio ma grazie alla bravura del suo interprete è già entrato da tempo nelle grazie degli spettatori.
In definitiva si può affermare che il capitolo finale punta principalmente a parlare al cuore dei fan, desideroso di emozionare e commuovere più che di stupire o proporre qualcosa di inedito. Se lo si inquadra in quest’ottica un’analisi critica fredda e asettica lascia senz’altro il tempo che trova. Si tratta pur sempre del nono capitolo di Star Wars, l’ultimo (salvo clamorose smentite e ripensamenti) sui Jedi, sui Sith, sugli Skywalker. La visione sul grande schermo è un doveroso e incondizionato atto di fede per chi è nato e cresciuto con Leia, Luke, Han e Chewbe e che da adulto, magari in compagnia di figli o nipoti, ha conosciuto i nuovi personaggi così indissolubilmente legati e connessi con quelli storici. Siamo sicuri che la Forza continuerà a scorrere sotto altre forme, come ben sa chi ha già avuto la fortuna di vedere l’ottima serie tv western/sci-fi The Mandalorian ideata da Jon Favreau e ispirata all’immaginario di Star Wars, capace di rinverdirne l‘universo mitopoietico con acume e intelligenza.
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