Un nuovo romanzo tragico dove tutti sono antieroi.
Il politico corrotto Filippo Malgradi (Pierfrancesco Favino) deve far approvare in breve tempo una legge per favorire una grossa speculazione edilizia sul litorale di Ostia, voluta dalla criminalità organizzata romana composta dal boss detto Numero 8 (Alessandro Borghi) e da Samurai (Claudio Amendola), ultimo esponente della Banda della Magliana. Saranno però un omicidio e il coinvolgimento nella vicenda di un PR opportunista (Elio Germano) a far precipitare gli eventi.
Tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 2013 da Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, Suburra è il secondo film per il cinema diretto da Stefano Sollima, dopo ACAB – All Cops Are Bastards del 2012, ma soprattutto successivamente al grande successo televisivo dello scorso anno ottenuto con Gomorra – La serie, il dramma gangster che segue l’epopea della famiglia mafiosa dei Savastano. E forse più che al suo precedente cinematografico, occorre infatti approcciarsi a Suburra avendo negli occhi lo Stefano Sollima televisivo, quello di Gomorra – La serie ma ancora prima quello della buona operazione avvenuta con Romanzo Criminale – La serie, sorta di reboot e ampliamento narrativo del film diretto da Michele Placido nel 2005 a sua volta tratto dal romanzo, scritto sempre da De Cataldo.
Sarebbe alquanto facile leggere in Suburra (nonostante il romanzo sia del 2013) riferimenti attivi alla più stretta attualità, dall’enorme scandalo di Mafia Capitale che ha travolto Roma nei mesi scorsi fino ad arrivare a questi ultimi giorni di caos. Ma il sottotesto profetico appare fin da subito un qualcosa che può essere aggiunto dallo spettatore, che probabilmente ammiccherà a questa surreale commistione tra finzione e verità, ma che al film e a Sollima non interessano, pur rischiando la collocazione temporale ben precisa (il film è ambientato durante una settimana nel novembre 2011) e citando eventi che poi si sarebbero verificati come la caduta del governo o le dimissioni papali.
Tutta questa premessa per tentare di dire che vedere in Suburra un apologo sociale e politico del nostro passato recentissimo significa finire fuori bersaglio, perché Sollima riporta il tutto, o meglio asciuga il contesto, al servizio di un film fieramente di genere, un dramma noir che strizza l’occhio al gangster movie e che si fa forza di un racconto corale gestito con dovizia. Si diceva che bisognava guardare al Sollima versione tv e infatti i toni e la modalità sono quelle di Romanzo Criminale e Gomorra, il tentativo in parte largamente riuscito di riportare una certa idea di nuova epica al nostro cinema si avverte, soprattutto in una scrittura che ritrova il senso degli archetipi, senza eccessive banalizzazioni o non richieste complessità.
In Suburra c’è di tutto, c’è la politica corrotta e marcissima, c’è la vecchia e nuova criminalità e c’è ovviamente la chiesa, sorta di potere occulto ma anch’essa coinvolta nel meccanismo. E forse il punto debole di Suburra è quando cerca di dare forzatamente un senso altro a queste componenti, ma come risultato si perde in metafore e allegorie sul presente che soffrono di un significato fin troppo ovvio per non essere smascherato. Simbolo di questo sono le parole pronunciate dal personaggio di Favino verso la fine: “Sono un parlamentare della Repubblica Italiana, e arrivato dove sono ora me ne strafotto della magistratura”; fin troppo chiaro, no?.
Ma a parte questo, verrebbe da dire a parte tutto questo e tutto ciò che circonda e ha circondato Suburra dalle ambizioni alle intenzioni, Stefano Sollima ha il semplice e giusto merito di aver saputo raccontare e dirigere un nuovo romanzo tragico con una propria identità, dove tutti sono antieroi, e sa far riacquistare forza anche all’elemento della messa in scena, con una Roma ritratta nella pioggia e nei propri peccati, virata al nero e alle volte quasi inedita.
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