Una preziosa testimonianza ancora attualissima.
Io l’ho vissuta sulla mia pelle la realtà del terremoto emiliano. Stavo dormendo, come quasi tutti, alle 4:04 del mattino, del 20 maggio 2012. Inizialmente la mia mente mi fece credere di essere vittima di un orribile incubo. Oddio, sto sprofondando nelle viscere della terra. Poi ho aperto gli occhi, improvvisamente. Ho sentito il letto sotto di me che vibrava, si alzava dal pavimento. Il lampadario sopra la mia testa che vibrava paurosamente. Ho urlato. Ho chiamato mia madre nell’altra stanza. Tutto è durato una decina di infiniti secondi. Non ci fu nemmeno il tempo per realizzare cosa stava succedendo. Il terremoto? In Emilia Romagna? Eppure ricordavo da quello che ci insegnavano le maestre alle scuole elementari che in pianura padana un evento sismico sarebbe stato altamente improbabile, quasi impossibile. In fretta e furia, ancora in pigiama, ho indossato le scarpe e sono sceso in strada, dove ad attendermi c’era tutta la mia via. Tutti in strada, increduli, spaventati, con il cellulare all’orecchio per sentire la voce dei propri cari. Fu la prima cosa che feci anche io, chiamare l’ospedale dove era ricoverata da qualche giorno mia nonna, accertarmi che fosse tutto a posto, che non si fosse spaventata (a dire il vero dormiva cosi profondamente che nemmeno se ne accorse, beata lei!). Ricordo tutto con estrema chiarezza, di quella notte e di quei lunghi giorni del terremoto emiliano. Una ferita ancora aperta e che non si vuole rimarginare, come dimostrano la chiesa di Porotto (il mio paesino d’origine) inagibile da allora, o le svariate attività commerciali che non hanno più riaperto dal 2012 a causa degli ingenti danni. Ricordo la paura nei giorni successivi, la mano compulsivamente appoggiata sullo smartphone ad aggiornare la app dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, per verificare non ci fossero state altre scosse di assestamento. Ricordo le notti immediatamente successive alla tragedia, passate in auto davanti alle scuole medie, scomodissimo, in quello che probabilmente fu a tutti gli effetti il maggio più gelido degli ultimi vent’anni. Ricordo le giornate passate al lavoro con la testa altrove, i rilievi della protezione civile per accertarsi che il mio appartamento non fosse a rischio, il terrore negli occhi dei miei tre gatti. Ricordo tutto. L’impossibilità a riprendere la routine quotidiana, e la rabbia nell’essere consapevoli di non poter fare assolutamente nulla per modificare la situazione. Solo chi ha vissuto questi eventi può capire. “You had to be there”, giustamente, come il titolo del secondo cortometraggio che compone Tellurica – Racconti dal cratere, film collettivo composto da dieci episodi, che riflette sugli effetti collaterali umani, e privati, conseguenti al sisma del maggio 2012. Opera inusuale e coraggiosa quella realizzata dal Collettivo Sisma Emilia (composto da diversi registi, artisti, autori, addetti ai lavori provenienti dalle zone terremotate), e che ha preso il via nell’immediato post-terremoto dell’estate 2012.
404 Time not found (regia di Giuseppe Ferreri) funge da breve prologo agli episodi successivi e mostra la sera successiva al terremoto di una normalissima coppia che cena seduta davanti al telegiornale, ancora scioccata, e reagisce in maniera apatica alla notizie annunciate in televisione.
You had to be there (regia di Domenico Guidetti) ci trasporta perciò all’interno della realtà del sisma, quella che deve essere “vissuta” per essere capita. Attraverso l’angosciosa notte di un volontario della protezione civile viene tracciato un parallelo tra il terremoto emiliano e l’altro spaventoso sisma che ha colpito la nostra terra appena qualche anno addietro, quello di l’Aquila del 6 aprile 2009.
Il respiro del gigante (regia di Emanuele D’Antonio) è il segmento che osa di più in termini di messa in scena e simbologie. Girato sull’appenino modenese, a Piandelagotti, con un ottimo senso degli spazi, è una sentita riflessione sul rapporto tra l’uomo e la natura, dove un homeless che vaga e vive nel bosco è sorpreso e sconcertato dalla furia degli eventi.
Cambia tono Lettere dal fronte (regia di Roberto Cavana), più leggero e favolistico, a metà via tra la commedia popolare nostrana (si veda La vita è bella) e Jean-Pierre Jeunet. Qui gli eventi del sisma sono filtrati dalla sensibilità di un bimbo che scrive una lettera ad un amico sfollato, immaginando il terremoto come una guerra in atto.
Shell Shocks Radio (regia di Carlo Battelli) punta il riflettore sulla difficoltà di una persona comune nel riprendere la routine precedente al sisma. Il protagonista dorme in auto, sul lavoro è distratto, si aggira per la città senza meta e forse trova un momento di pacificazione nell’ascolto di una partita di calcio alla radio.
Happy Birthday Rovereto (regia di Nicola Xella) è una sorta di interludio, ambientato nei luoghi devastati del terremoto della cittadina del titolo. La macchina da presa si sofferma su un clown triste che posa davanti alle macerie e alla distruzione di quella che un tempo era zona abitata.
4: 04 (regia di Marco Maselli) è forse l’episodio più ambizioso e simbolico, ma anche quello narrativamente più difficoltoso e insondabile. Realizzato in animazione è un episodio fortemente onirico che parte dall’immagine di una donna di mezza età la quale nel momento del sisma inizia, letteralmente e non, a veder crollare tutto ciò che le sta attorno, ha visioni della propria famiglia, del passato e del futuro.
Wang (regia di Mirco Marmiroli) segue il flusso di coscienza del protagonista, un cinese proprietario di un bar che ha perso una persona cara a causa del terremoto. Il pedinamento dell’interprete nella sua routine quotidiana e lo spleen emotivo della voce narrante ricordano un poco l’ultimo cinema di Malick, ma l’episodio si colora piuttosto di invettive di denuncia sociale, ricollegandosi alla politica del “figlio unico” introdotta in Cina nel 1979, prima abrogata e poi ristabilita.
L’occasione (Corrado Ravazzini) è una specie di parabola sulle occasioni perse e sul proverbiale carpe diem. Una coppia rinuncia a trascorrere una serata assieme e a bere una buona bottiglia di vino a causa di un impegno del marito, ripromettendosi di farlo in un altro momento. Ma non sanno che poche ore dopo il terremoto sconvolgerà le loro vite.
Anniversario (regia di Francesco Barozzi) vede tra gli interpreti anche Roberto Herlitzka, ed è ambientato a Rovereto sulla Secchia. Una donna è strappata al proprio lavoro da una misteriosa telefonata. Cerca qualcuno tra le strade deserte e distrutte della propria città. E infine trova il padre, seduto davanti a quella che era la propria casa, che ricorda il passato con commozione.
Guardando in parte al film 11 Settembre 2001 sull’attacco al World Trade Center, il film del Collettivo Sisma Emilia cerca di interrogarsi su molti aspetti derivanti dal terremoto emiliano, dal dramma umano visto attraverso gli occhi e le sensibilità di personaggi molto diversi tra loro, all’impatto sulla natura, i paralleli con altri eventi storici degli ultimi anni, le speculazioni sulla tragedia, il ritorno alla normalità. Di carne al fuoco ce n’è tanta, e non tutti gli episodi, va detto, sono di pari valore. Se Anniversario e Shell Shocks Radio trovano la giusta commistione tra sperimentalismo della messa in scena e autenticità emotiva, altri segmenti come Wang osano un po’ troppo nel loro parallelismo con la politica estera, così come 4: 04, che rischia di sembrare un labirinto visivo senza una via d’uscita e un po’ fine a sé stesso. Se il tono poetico de Il respiro del gigante emoziona, quello infantile di Lettere dal fronte è sin troppo zuccheroso. Complessivamente tuttavia questo progetto, interamente autoprodotto (e di cui una parte dei proventi è andata in beneficenza) va lodato e raccomandato. Tellurica – Racconti dal cratere è una preziosa e ancora attualissima testimonianza di un evento che non vorremmo mai più dover affrontare.
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