Sign In

Lost Password

Sign In

TB foto4

I dolori del giovane Wayne.

Dopo la trilogia di Christopher Nolan sul cavaliere oscuro sembrava davvero arduo, per non dire impossibile, riportare Batman sul grande schermo. Lo sa bene Zack Snyder che con Batman vs Superman e il successivo Justice League non è riuscito a incontrare e intercettare il favore del pubblico e il plauso della critica. Stavolta a provarci è Matt Reeves, il regista newyorkese che dopo l’exploit di quattordici anni fa con Cloverfield, la sua seconda prova dietro la macchina da presa prodotta da J.J. Abrams, si è specializzato in rifacimenti, da Blood Story fino agli ultimi due capitoli della nuova trilogia del Pianeta delle Scimmie. Il suo Batman, anzi The Batman con quell’articolo determinativo a marcare la distanza da tutti quelli che lo hanno preceduto, di cui ha firmato anche lo script assieme a Peter Craig, è il primo tassello di una nuova e più che probabile trilogia. Un film ancora più tetro, cupo e oscuro di quelli di Nolan e, per certi aspetti, più ambizioso e adulto nel suo dosare e centellinare le scene più muscolari e spettacolari in favore di una trama complessa e intricata immersa in atmosfere sofisticate e ricercate più consone a un film noir, o neo-noir che dir si voglia, che a un cinecomic.

L’intento di Reeves è palese fin dai primi minuti, con la voice over del protagonista in stile detective hard boiled accompagnata dalle note evocative e suggestive di Something in the Way dei Nirvana, riprese anche sul finale e fonte primaria d’ispirazione per il magnifico score musicale composto da Michael Giacchino. Questo nuovo Batman punta sul realismo quanto quello di Nolan, ma ha l’ambizione di voler evocare e omaggiare atmosfere e tematiche di alcuni titoli di culto della New Hollywwod degli anni ‘70 come La Conversazione, Chinatown e Il braccio violento della legge coniugandoli con l’estetica fincheriana. Primo fra tutti l’inarrivabile e inimitabile Seven, thriller monumentale di metà anni ‘90, senza dimenticare il remake di Millennium – Uomini che odiano le donne, citato apertamente sul finale con l’eroina che si allontana in moto come la Lisbeth Salander di Rooney Mara. Seven è senz’altro la fonte d’ispirazione più evidente e marcata, non solo per l’ambientazione notturna sotto una pioggia battente in una metropoli sporca e minacciosa, ma anche e soprattutto per quanto riguarda la storia e i suoi risvolti, che in più d’una occasione dà la sensazione di farci assistere all’ennesimo remake firmato da Matt Reeves, se non fosse per la presenza in scena di Batman, trasformato in una sorta di investigatore privato a sostegno delle indagini del tenente Gordon della polizia di Gotham City.

In questo omaggio scopertamente dichiarato The Batman compie la stessa operazione tentata e riuscita – almeno in termini di successo al box office – dal Joker di Todd Phillips nel 2019, in cui si costruiva una origin story sulla nemesi dell’uomo pipistrello che citava e prendeva in prestito l’estetica di Taxi Driver e di Re per una notte di Martin Scorsese. A Reeves, da un punto di vista strettamente artistico, l’operazione riesce meglio perché cerca di andare oltre il ricalco e la copia spudorata per ricostruire da capo la mitologia di uno dei supereroi più amati di sempre dal pubblico, il più tormentato e combattuto, quello più controverso e disperato, dipinto spesso e volentieri come un sociopatico o come un recluso di lusso nel suo castello, lontano e distante da un mondo che in realtà vorrebbe proteggere (anche da se stesso). Batman è un eroe-antieroe, il più umano e vulnerabile di tutti, l’unico non dotato di super poteri, cresciuto troppo in fretta a causa del brutale omicidio dei suoi genitori, qui ripreso e inserito in un disegno insolito e in una prospettiva nuova, utile anche a costruire un’immedesimazione e una connessione emotiva, fatta di sguardi reciproci, intensi e dolorosi, col figlio del sindaco di Gotham, il primo a rinvenire il corpo del padre assassinato dall’Enigmista.

La scelta di ripartire da Robert Pattinson, un attore costantemente alla ricerca di nuove e sfiancanti sfide interpretative, risulta decisamente indovinata. Il suo Batman/Bruce Wayne è un giovane uomo sofferente e malinconico, affetto da un male di vivere che trova un inaspettato afflato romantico nella relazione con Catwoman, ben impersonata dalla magnetica Zoë Kravitz. Ottima la prova di un allucinato Paul Dano nei panni dell’Enigmista, specie quando finalmente lo vediamo a volto scoperto dopo una prima parte in cui appare sempre mascherato in una serie di video deliranti in cui viene immediato e automatico l’accostamento con Saw – L’enigmista.

Le impressioni alla fine di un viaggio oscuro e tortuoso lungo quasi tre ore, che onestamente si fanno sentire eccome, in una Gotham livida e notturna (non si era mai vista al cinema così immersa in un buio infinito e perenne) sono un po’ contrastanti. Se da un lato non si può non apprezzare la costruzione di un immaginario potente, sostenuto da indubbi valori produttivi che hanno consentito la realizzazione di alcune sequenze sbalorditive, come l’incredibile inseguimento stradale notturno sotto una pioggia incessante che si conclude in un impeto di fuoco e fiamme e auto ribaltate, dall’altro viene da chiedersi per quanto tempo ancora il cinema hollywoodiano, e per traslato il nostro immaginario, resterà in balia e in ostaggio dei cinecomics, divenuti ormai l’unico genere in grado di garantire e assicurare incassi stellari a livello internazionale. Un genere a cui il pubblico, ma anche buona parte della critica, perdona anche i difetti e le debolezze più evidenti come il minutaggio spropositato, quasi mai giustificato da esigenze narrative o alcuni passaggi retorici e banali che non sarebbero bene accetti in altre tipologie di film (1). Si ha quasi la sensazione nel vedere The Batman che a Reeves sarebbe piaciuto da matti cimentarsi con un thriller o con un noir puro, sulla falsariga di quelli già ampiamente citati qui sopra, senza tirare in ballo eroi mascherati: ma che di fatto risulti impossibile oggigiorno avere a disposizione valori produttivi così importanti per storie che non contemplino al loro interno uno o più supereroi e relative nemesi. E allora ben venga questo detective mascherato, in attesa che il cinema americano riesca o abbia voglia di riappropriarsi di altri generi che con l’avvento dei cinecomics sono stati ridimensionati o relegati alla sfera indie.

(1) A detta di chi scrive risultano essere le pecche principali del film di Reeves, a cui avrebbero giovato una maggior capacità di sintesi a livello narrativo e un maggior coraggio nella lunga parte finale in cui la storia tende a normalizzarsi per rientrare nel solito schema – abbastanza banale, reiterato e abusato – dell’eroe al servizio della comunità.

voto_3

Boris Schumacher
Appassionato di cinema da che ne ha memoria, ha studiato Storia e Critica del Cinema a Firenze dove vive tuttora. Folgorato dal genio creativo di Stanley Kubrick e di Orson Welles, si autodefinisce un malato di cinema più che un cinefilo. Vero e proprio onnivoro, vede di tutto, dal cinema d’autore a quello di genere con un particolare occhio di riguardo verso l’horror e il thriller. Adora il cinema orientale, in particolare quello coreano, il cinema d’animazione (stravede per la Pixar e lo Studio Ghibli di Hayao Miyazaki e Isao Takahata) e qualche anno fa è rimasto ipnotizzato e folgorato dalle opere del cineasta ungherese Béla Tarr. Scrive anche su Taxi Drivers, web magazine di cinema e cultura e Orizzonti di Gloria – La sfida del cinema di qualità. In passato ha collaborato con Cinemonitor e FilmVillage mentre su MyMovies ha pubblicato un approfondimento sulla serialità statunitense. All'inizio del 2012 ha creato Lost in Movieland, pagina facebook dedicata alla Settima Arte.