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THE DONOR

THE DONOR

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Oltre la lotta di classe, il gioco delle parti.

Il vincitore del concorso del Torino Film Festival 2016, opera prima di Qiwu Zang, già assistente alla regia di Zhang Yimou per La Città Proibita (2006) e I Fiori della Guerra (2011), racconta una storia semplice, quella di un ricco uomo d’affari in odor di malavita, Li Daguo, che approfitta di un povero, Yang Ba, come donatore d’organi per la sorella bisognosa del trapianto di un rene: una volta iniziato a ottenere quanto desiderato, Li Daguo non avrà remore a chiedere sempre di più a Yang Ba, la cui casa è minacciata dalla paventata costruzione di un ricco quartiere residenziale.

The Donor è innanzitutto un film concepito con ogni cura e attenzione al dettaglio, a cominciare dalla scrittura e dalle inquadrature. Impossibile non pensarlo di fronte per esempio alla sequenza nella quale, mentendo dopo l’espianto, il protagonista Yang Ba rivela alla moglie di essere stato accoltellato e costretto in ospedale per diversi giorni. La moglie è fuori campo, in un punto imprecisato al di qua della macchina da presa che rimane fissa, e visto lo sfregio che il marito ha sul fianco si lascia andare a un pianto nervoso rotto dai singhiozzi. Il racconto del dramma avviene cioè in modo differente da come ce lo aspetteremmo, non ricorrendo allo sguardo in soggettiva e tantomeno alla convenzione più (ab)usata, rendendo cioè concitata e melodrammatica la situazione: la totale assenza di commento sonoro alla scena non fa che confermare una precisa scelta stilistica.

C’è però dell’altro, oltre l’esemplare drammaturgia – che si sostanzia in una sceneggiatura e in una simbologia di presa universale, dal villaggio letteralmente soverchiato dalla ferrovia (segno di una modernizzazione più subita che abbracciata) all’efficacissimo crescendo con cui Yang Ba cerca di sottrarre il figlio al destino voluto dal ricco “fratello” (prima crolla in ginocchio implorando pietà, quindi cerca di restituire il denaro, infine opta per una soluzione radicale). C’è dell’altro e, per spiegare il nostro punto di vista, torniamo alla suddetta scena della “confessione” menzognera del marito all’ignara moglie. Essa richiede il perfezionamento da parte di un complice, di una “spalla”. Poco dopo assistiamo infatti a una cena a casa di Li Daguo, che si produce nella parte dell’amico riconoscente (perché Yang Ba gli avrebbe fatto scudo con il suo corpo da un aggressore, subendo la coltellata al suo posto) e in seguito, in una sorta di a parte teatrale, chiede a Yang Ba se ha recitato bene il suo ruolo davanti al figlio e alla moglie di quest’ultimo. Ecco il punto: Li Daguo è accessorio in questa messinscena, mentre il ruolo da protagonista spetta proprio a Yang Ba. Oltre che mettere in atto l’ennesima storia di oppressione, The Donor orchestra un vero e proprio gioco delle parti, dove il primo errore per il povero è accettare di giocare sul tavolo altrui per buon cuore, per interesse, per sentirsi riconosciuto o per paura della reazione del ricco. Il film va cioè al di là di una “semplice” rappresentazione della strisciante lotta di classe nella Cina contemporanea, spingendosi a fondo in un impietoso ritratto dell’autoinganno e dell’incapacità del proletariato (quello cinese con un solo figlio, come da imposizione statale) di cogliere le conseguenze dell’adesione a schemi di pensiero che finiscono col decretarne l’umiliazione, riducendolo a risorsa da sfruttare. E lo script è comunque sempre molto attento a non rendere troppo simpatico il più debole rispetto al più forte per far cogliere questa implicazione tutt’altro che secondaria: a tal proposito la reificazione del povero è resa esplicita per esempio nella scena in cui la moglie di Yang Ba progetta un futuro migliore dopo aver appreso dell’improvvisa disponibilità di un’ingente somma di denaro.

Sarebbe naturalmente vano – e un po’ insensato – cercare nel film una complessità di discorso come quella di Jia Zhang-ke in Il tocco del peccato. Ma un’opera prima così ben costruita (penso anche alla profondità di campo della scena in cui Yang Ba tenta di restituire a Li Daguo il denaro contenuto in una carta di credito, che rimarca la solitudine del protagonista; o al modo in cui è curato il sonoro), oltre ad essere indizio di una mano sicura, sembra promettere frutti cospicui.

voto_4

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.