Ascesa, caduta e redenzione in chiave paradossale.
Nel 2013, alla tenera età di settantuno anni e dopo quasi mezzo secolo passato dietro la macchina da presa a regalarci un capolavoro dietro l’altro, Martin Scorsese aveva ancora il desiderio e l’impellenza di fare cinema davvero fuori dal comune. Caratteristiche che ha mantenuto intatte fino ad oggi, all’ottantesimo compleanno, e che gli hanno permesso di continuare a stupire e spiazzare il pubblico e la critica come solo pochi cineasti sono stati (e saranno) in grado di fare. Con The Wolf of Wall Street il regista italo-americano firma una commedia – divertente, spietata e nerissima – dal ritmo frenetico e indiavolato.
Tratto dall’omonima autobiografia di Jordan Belfort, il film ripercorre la sua spregiudicata e inarrestabile ascesa come broker negli Stati Uniti a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 dove, all’apice della sua brillante carriera da squalo vorace dell’alta finanza, venne soprannominato il lupo di Wall Street. Una vita di eccessi, mirata a inseguire e soddisfare ogni vizio possibile e immaginabile, segnata da una totale dipendenza da farmaci, droghe d’ogni tipo, lusso sfrenato e belle donne. Dopo aver fondato, insieme all’inseparabile amico Donnie Azoff, l’agenzia di brokeraggio Stratton Oakmont ed essere diventato in pochi anni uno degli uomini più ricchi di tutta Wall Street, per Jordan Belfort iniziano i guai a causa della sua totale mancanza di controllo e della sfrenata avidità che lo spingono a frodi finanziarie sempre più azzardate e macroscopiche. Incurante delle possibili conseguenze, finisce sotto la lente investigativa dell’FBI che pone fine al suo impero finanziario fatto di truffe, speculazioni e raggiri.
Nella sua ormai lunga carriera cinematografica non si era mai visto prima un Leonardo DiCaprio così istrionico e così dannatamente sopra le righe come appare nei panni – eleganti e firmati – di Jordan Belfort. DiCaprio, al suo quinto film con Scorsese, a cui nel frattempo se ne è aggiunto un sesto, Killers of the Flower Moon in uscita nel 2023, riesce a superare se stesso dando vita a un’interpretazione a tutto tondo. Talvolta si ha come l’impressione di rivedere sullo schermo un giovane Jack Nicholson con tanto di smorfie, ghigni e occhi fiammeggianti. Tra l’altro i due attori nel 2006 hanno recitato insieme in The Departed, diretti proprio dallo zio Marty.
Interprete di razza, perfettamente a suo agio sia in ruoli brillanti che drammatici, DiCaprio continua a crescere di film in film, scegliendo d’impersonare personaggi scomodi e difficili, spesso al limite come nel caso del broker Jordan Belfort per cui ha ricevuto una sacrosanta nomination all’Oscar, ai tempi la quarta della sua carriera a cui mancava ancora di ricevere l’ambita statuetta, vinta poi nel 2016 per la sua prova in The Revenant di Iñárritu. In The Wolf of Wall Street DiCaprio ha trovato una perfetta spalla comica in Jonah Hill e l’incredibile alchimia venutasi a creare tra i due attori è ben visibile in numerose sequenze del film che risultano a dir poco travolgenti ed esplosive (una su tutte la scena del telefono coi due amici strafatti). Ricorrendo a un’equazione matematica si potrebbe dire che Leonardo DiCaprio sta a Jonah Hill come Robert De Niro stava a Joe Pesci in pellicole come Goodfellas o Casino che non a caso hanno anche diversi altri elementi in comune con The Wolf of Wall Street, sebbene quest’ultimo non ne possieda la stessa furia e il medesimo carico di violenza.
In questa pellicola il cineasta italo-americano smussa i toni, affrontando la vicenda narrata in modo lieve e ironico. La componente tragica, che fa capolino più volte fino ad essere sfiorata nella seconda parte, tipica di buona parte della filmografia scorsesiana lascia il posto alla commedia e a toni più scanzonati. Sicuramente non si è mai riso così tanto in un suo film come avviene appunto in The Wolf of Wall Street. Merito anche della mirabolante sceneggiatura firmata da Terence Winter, il creatore della notevole serie Boardwalk Empire targata HBO e prodotta da Scorsese che ne ha anche girato il pilot, infarcita di scene piene di dialoghi scoppiettanti, ironici e brillanti. Il cineasta newyorkese non sembra prendersi troppo sul serio rispetto al passato, lo scavo psicologico lascia il posto al piacere della messa in scena dove emerge tutta la sua abilità registica nel riuscire ad imprimere alla sua creatura un ritmo folle e febbrile nonostante la considerevole durata pari a tre ore. A riguardo è d’obbligo un plauso all’eccellente e pauroso lavoro di montaggio realizzato come sempre dalla fidata e sodale Thelma Schoonmaker.
Il cambio totale di registro rispetto alla maggior parte dei suoi lavori precedenti ha giovato a Scorsese, sebbene il film rispetti l’impianto tipico e abituale del regista rappresentato da ascesa, caduta e redenzione, con quest’ultima che qui a dire il vero pare una scelta obbligata, fornendogli nuova linfa vitale e nuovi stimoli creativi.
Frenetico e frastornante, costellato di situazioni al limite con tanto di droghe e nudi in primissimo piano, con il suo linguaggio altamente esplicito The Wolf of Wall Street trova nell’eccesso e nel paradosso la sua cifra stilistica. Un film folle e ipertrofico, come il suo protagonista, dove tutto funziona a dovere, lanciato ad altissima velocità, tra i migliori e più compiuti – assieme a Silence e The Irishman – tra quelli realizzati da Scorsese nel nuovo millennio.
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