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UNA QUESTIONE PRIVATA

UNA QUESTIONE PRIVATA

Una questione privata foto1

La questione dei Taviani.

C’è qualcosa che assomiglia molto a una dichiarazione d’intenti, all’inizio di Una questione privata dei fratelli Taviani: in quell’affaticato andare per monti che lo vede assediato dalla nebbia, catturato e quasi intrappolato e piegato dalle linee sghembe e oblique del paesaggio, come da distanze immisurabili con certezza (1), il Milton dei Taviani è modellato come qualcuno di diverso e “di più” che un personaggio di romanzo, qualcuno che va oltre l’eroe di una storia tutta mentale e privata come quella del libro di Beppe Fenoglio. Milton è cioè il testimone della storia di quegli anni, di una resistenza che fu sì l’eruzione di un sentimento di profonda inquietudine e malessere, ma non certo un autentico movimento di popolo (come mise in luce Luigi Meneghello ne I piccoli maestri, altro capolavoro della nostra narrativa resistenziale). La stessa frase decisiva per il significato pronunciata dalla custode e mantenuta intatta dal libro al film (“…quando voi ragazzi avete messo su questa vostra guerra”), ha un valore diverso nelle due circostanze.

È una differenza di percezione soggettiva e di messa a fuoco, quella tra gli autori del film e lo scrittore. I due registi si preoccupano di rendere esemplare la vicenda, nella sua riconoscibilità collettiva e nei suoi nodi; cesellano i gesti e i momenti, li scolpiscono perché siano immediatamente identificabili e perfetti. È questo il principale motivo per cui il film non decolla, né riesce a farsi carico della responsabilità che una qualsiasi svolta, sotto forma di un enjambement ideale, morale e psicologico, potrebbe avere nella riduzione cinematografica di un libro così asimmetrico, tanto nelle cuciture quanto nei presupposti (ben riassunti a distanza di anni dalla prima pubblicazione da Italo Calvino, che ne spiegava con precisione l’inassimilabilità alla coeva letteratura memorialistica). Penso per esempio alla sequenza dell’albero con Fulvia e Milton, e poi Giorgio e Fulvia, Giorgio e Milton, una tra le altre. L’occasione, e non l’unica, di turbare e disarticolare la direzione degli sguardi, mettendosi d’intralcio allo spettatore nelle coordinate della scena: basterebbe un raccordo a perdere per situarsi al di fuori della convenzionalità. Ma i Taviani non sanno sfruttare lo spunto, si preoccupano prima di tutto della leggibilità della scena, sempre e ancora aderenti alla loro idea di cinema didattico e a rischio di retorica (per quanto a volte di nobile retorica). In questo senso, non può che venire meno il senso furente, ariostesco, dell’epopea del partigiano innamorato; e se ci sono soluzioni forti e desuete, dall’incontro con i genitori allo stacco su Fulvia e il mare (2) o anche all’episodio in cui Milton uccide un fascista catturato sulla via per scambiarlo con Giorgio, l’impressione rimane quella di assistere a un film che non sa andare fino in fondo, che non può accettare la deriva e accoppiare il paesaggio esteriore – capace appunto, in alcuni punti notevoli, di scuotere con una visione non stereotipata della guerra partigiana – alla carica interiore. A questo punto, meglio sarebbe stato staccarsi di più dalla traccia del triangolo amoroso e propendere per un lavoro di (più) sfacciata rielaborazione, ma così purtroppo non è. Un’occasione perduta, peccato.

 
(1) Il film è stato girato in Val Maira nel cuneese, e non nelle Langhe.

(2) La Fulvia tratteggiata dalla pur volonterosa Valentina Bellè è solo un pallido calco della figura piena di letteraria inquietudine sbozzata in poche pagine da Fenoglio.

voto_2

Denis Zordan
Il Matrimonio di Maria Braun di Fassbinder ha mutato un liceale snob e appassionato di letteratura in un cinefilo, diversi lustri fa. Da allora i film sono stati tanti e le folgorazioni moltissime: da Heat di Michael Mann (“Il” film) agli heroic bloodshed di John Woo, passando per valangate di pellicole orientali e la passione per il cinema di Fritz Lang, Jean-Pierre Melville, Alfred Hitchcock, Werner Herzog, oltre che per i thriller e gli horror. Ha scritto per Cinemalia, The Reign of Horror, CineRunner. “Il Bel Cinema”, di cui è il fondatore, ha l'ambizione di mettere un po' di ordine nella sua gargantuesca voracità: ma è probabile che finisca con l'acuirla ancora di più.