Un fiacco e risaputo on the road movie.
Il distruggersi e il (tentare di) ricomporsi attraverso il viaggio. Purificatore e rigenerante. Rendere ciò che abbiamo dentro, ciò che ci spacca in mille pezzi, un punto di (ri)partenza da cui muoversi verso un altrove ignoto, passando attraverso territori fisici ed emotivi impervi. E poi rinascere.
Jean-Marc Vallée, col suo nuovo film scritto da Nick Hornby, si appropria di uno dei temi classici della cultura americana, il viaggio, e dà vita ad un risaputo e molto poco appassionante (ed appassionato) percorso di ricostruzione di sé.
Non si tratta del viaggio definitivo del celebratissimo (e sopravvalutato per chi scrive) film di Sean Penn, Into the Wild, ma di una parentesi esistenziale messa in atto dalla protagonista per fare tabula rasa dei dolori e dei fallimenti che si porta dietro e che ancora le pesano come macigni (una figura paterna assente, la morte prematura della madre, un matrimonio giunto al termine da poco a causa dei suoi tradimenti seriali).
Il film di Vallée si basa di nuovo su una figura realmente esistente: Cheryl Strayed – interpretata da Reese Witherspoon, anche produttrice – che per dare nuova linfa alla sua vita viziata decise di percorrere a piedi il Pacific Crest Trail. Il regista, su una base di partenza precotta, esegue il suo compito senza particolari guizzi, ed il risultato finale è un classico percorso di ricostruzione/redenzione appesantito da diversi cliché e puntellato da citazioni celebri a tema che campeggiano sullo schermo con regolarità, scritte dalla stessa protagonista ad ogni tappa durante il suo percorso, le quali non fanno altro che annacquare ulteriormente il tutto in fiumi di semplicistica retorica del mito del viaggio.
Non c’è qui, come già nel precedente film del regista, Dallas Buyers Club, quella deflagrante potenza melò di Café de Flore che si mangiava ogni convenzione, ma un mero appiattimento sulla regola, seppur non privo di qualche lampo visivo (i flashback improvvisi che emergono del passato di Cheryl scuotendo e graffiando di tanto in tanto il flusso narrativo). E a conti fatti, il film non riesce a fare altro che adagiarsi su una medietà hollywoodiana sbiadita e infarcita di una serie di situazioni tipo, delle solite “figure da viaggio” e di una serie di altri elementi tipici di questo filone cinematografico masticati più e più volte.
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