SPIDER-MAN: HOMECOMING
(Regia: Jon Watts, 2017, con Tom Holland, Michael Keaton, Robert Downey Jr., Jon Favreau, Marisa Tomei)
Frutto dell’accordo fra Sony e Marvel Studios, Homecoming introduce Spider-Man nell’universo degli Avengers, il grande spazio filmico dove ha luogo la macrostoria che Marvel sta tessendo su grande schermo. La casa editrice newyorkese sta gradualmente ricreando all’interno del suo cosmo narrativo i vari generi e sottogeneri perduti nel tempo, aggiornati e declinati secondo l’e(ste)tica post-moderna: allora, con costumi in spandex, ecco il cinema politico (Winter Soldier), l’heist-movie (Ant-Man), la grande sci-fi (Guardians of the Galaxy) e ora il teen-movie aracnide. E non è un male, se il risultato, al di là di snobistiche considerazioni sui cinecomics, è di alta fattura con attori in ruolo, dialoghi frizzanti e un regista intelligente. Perché Watts è bravissimo a non nominare le origini etiche dell’eroe, e inserisce con intelligenza raccordi più o meno espliciti all’Universo condiviso del Marvel Cinematic Universe (fantastico il filmino amatoriale sulla battaglia in aeroporto); ma soprattutto riesce ad amalgamare gli elementi utili per accontentare tutti, dai puristi del fumetto (i richiami alle sequenze della mitologia ragnesca, come ad esempio la cover di Amazing #33, del 1963, giudicata una delle più belle della storia dei fumetti) agli snob della critica e ai teenager che conoscono o meno Spidey. Definendo quel quid pluris che, piaccia o meno, i film dei Marvel Studios possiedono, confrontando Homecoming con la trilogia di Raimi e il dittico di Webb: ossia l’autoironia, mai piaciona e sempre tesa a collegare pubblico e storia, e che si stende su una narrazione fluida e avvolgente. (glf)
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