NICO, 1988

(Regia: Susanna Nicchiarelli, 2017, con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Thomas Trabacchi)

NICO, 1988

Il film d’esordio di Susanna Nicchiarelli, Cosmonauta, mi parve alquanto acerbo. E non ho visto La scoperta dell’alba, la sua opera seconda. Alle prese con Nico, nome d’arte di Christa Päffgen, Nicchiarelli compie comunque un’operazione raffinata, quella di raccontare il crepuscolo di un’artista come se questo ne fosse l’aurora, mentre nelle atmosfere, scolpite da arrangiamenti ad hoc della musica della cantante tedesca, sa cogliere il segno di un tempo con sempre meno certezze assolute (”I giovani sono il futuro” … ”Ma ci credi davvero?” … ”No.”) e che prelude a imminenti cambiamenti. Non ha quindi particolare importanza, se non per il marketing, che quell’artista dal nome cospicuo ma ormai esclusa dai giri maggiori rappresenti davvero la cantante di Desertshore, o si assista invece a un tradimento della sua figura. E tantomeno si tratta di immortalare la star dietro le quinte: il lavoro della regista e sceneggiatrice è tutto di sottrazione al pari di quello della protagonista che, un po’ come l’Europa minore che attraversa, cerca costantemente di separare se stessa e il suo rapporto col figlio dai contraccolpi della difficile infanzia berlinese e di uno splendore trascorso divenuto doloroso ricordo (del periodo coi Velvet Underground Christa rammenta soprattutto quanto fosse ”fatta” tutto il tempo). Discostandosi dai maledettismi dei quali sono di regola farciti i biopic dei cantanti rock come dalle retoriche sulla seconda occasione, Nico, 1988 è un’opera che riesce a trovare accenti lirici e accorati proiettandoli in una dimensione metastorica. (dz)

voto_4