SOLO: A STAR WARS STORY
(Regia: Ron Howard, 2018, con Alden Ehrenreich, Emilia Clarke, Paul Bettany, Donald Glover, Woody Harrelson)
A poco meno di sei mesi di distanza da Gli Ultimi Jedi, l’ottavo capitolo di Star Wars, ecco al cinema il secondo spin-off della saga fantastellare creata da Lucas oltre quarant’anni fa e divenuta un franchise da spremere ben bene nelle grinfie della Disney. Nel portare sul grande schermo le avventure del giovane Han Solo, alle quali seguirà come terzo spin-off una storia dedicata a Obi-Wan Kenobi, la casa di Topolino si è affidata all’esperienza e al mestiere di Ron Howard dopo aver allontanato dal set – a causa di divergenze artistiche – il duo registico composto da Phil Lord e Chistopher Miller. A quanto pare gli autori di Piovono polpette e The Lego Movie avrebbero voluto realizzare una space opera ben più folle, imprevedibile e ironica di quanto la Disney fosse pronta a tollerare. Purtroppo non sapremo mai come sarebbe stato questo Solo: A Star Wars Story se fosse rimasto nelle loro mani, ma è più che lecito immaginare che avremmo avuto qualcosa di completamente diverso da ciò che ne ha tirato fuori Howard. Partiamo dall’incipit, tra i più sgangherati e sciatti dell’universo di Star Wars, con un Solo – affidato al pur bravo e promettente Alden Ehrenreich – assai poco memorabile e convincente. Si prosegue quindi con un’inedita e interessante parentesi bellica, in cui veniamo scaraventati nell’inferno delle trincee, con un rimando immediato e diretto alla Prima Guerra Mondiale, per poi cambiare nuovamente scenario e genere (dal war all’heist movie). Come accennato in precedenza il protagonista Ehrenreich non possiede un briciolo del fascino e del carisma di Harrison Ford, vera e propria icona entrata nell’immaginario collettivo di più generazioni (l’unico ad oggi che avrebbe potuto provare a calarsi nei panni di Solo senza farlo rimpiangere troppo è Chris Pratt). Più che indovinata invece la scelta di Donald Glover (per il ruolo di Lando Calrissian), attore afroamericano di grande intelligenza e bravura messosi in luce in questi ultimi anni nella serie tv Atlanta, da lui ideata, interpretata e in parte diretta. È un peccato che il suo personaggio, uno dei più riusciti di questo spin-off, non abbia avuto maggior spazio e risalto. La parte finale di Solo è la più dinamica e ispirata, probabilmente perché intrisa di atmosfere western, genere più consono e adatto a Ron Howard, che quindici anni fa con The Missing aveva mostrato di padroneggiarlo a dovere. Dispiace ammetterlo, ma questo ennesimo capitolo della saga è uno dei meno necessari e urgenti, destinato a essere dimenticato in fretta anche dai fan più irriducibili, nonostante Chewbe, il Millennium Falcon e l’eterno e immarcescibile tema musicale di John Williams che, quando irrompe sulla scena, provoca sempre un tuffo al cuore e rende impietoso il confronto con il nuovo, trascurabile e superfluo score composto da John Powell. (bs)
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