GIRL
(Regia: Lukas Dhont, 2018, con Victor Polster, Arieh Worthalter, Olivier Bodart, Tijmen Govaerts)
Lara, quindici anni, nata in un corpo maschile che non le appartiene e che non vede l’ora di trasformare e modificare, sogna di diventare una ballerina classica. Vive col padre, uomo mite e comprensivo che la sostiene e le sta accanto in questa delicata fase di transizione, e col fratellino di appena sei anni. Lara si guarda spesso allo specchio nell’intimità della sua stanza, osserva con apprensione un corpo che le provoca solo disagio e imbarazzo, un corpo che ha fretta di cambiare attraverso un percorso lungo e difficile per cui serve soltanto molta pazienza, come le ripetono di continuo i medici e gli psicologi da cui è seguita. Ma Lara, ragazza matura ma pur sempre adolescente, ha fretta d’iniziare una nuova vita e d’inseguire e coronare il suo (doppio) sogno. Talmente risoluta e determinata che è pronta a tutto per accelerare un percorso di cui non intravede la fine. Il conflitto è (quasi) tutto interiore in Girl, Caméra d’or e Queer Palm all’ultima edizione del festival di Cannes. La protagonista, interpretata dal giovanissimo e bravissimo Victor Polster, premiato sulla Croisette per la miglior interpretazione maschile e femminile nella sezione Un Certain Regard, si trova a combattere principalmente con se stessa, in particolar modo con quella parte di sé che vede come un corpo estraneo da nascondere e da espellere il prima possibile. Il regista belga Lukas Dhont, classe 1991, al suo debutto nel lungometraggio realizza un’opera solida, intensa e delicata, rispettosa e partecipe della sensibilità e dell’emotività della sua protagonista. Ne osserva gli spostamenti, gli imbarazzi, i silenzi, i primi approcci con un coetaneo vicino di casa. Decisamente sorprendente l’attore esordiente Victor Polster, che sostiene sulle sue spalle tutto il film e si concede senza riserve alla macchina da presa che lo segue e lo scruta ovunque, a casa, a scuola, all’accademia di danza, nelle sedute con medici e psicologi. L’unico limite di Girl sta nella sua eccessiva programmaticità, nel voler essere fin troppo autoriale e nell’aver voluto inserire un’ultima scena di cui – francamente – non c’era affatto bisogno. (bs)
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