COPPERMAN

(Regia: Eros Puglielli, 2019, con Luca Argentero, Antonia Truppo, Galatea Ranzi)

COPPERMAN

Anselmo, giovane uomo affetto da autismo, vive da sempre con la madre che da quando era piccolo, per giustificare l’assenza del padre andatosene prima che nascesse, gli ha raccontato che l’uomo è un supereroe impegnato a combattere il male nel mondo. Un giorno Anselmo, dall’animo candido e immacolato, si convince di essere a sua volta un supereroe e con l’aiuto di Silvano, il fabbro del paese nonché suo padre putativo e mentore, diventa Copperman. Non può non far piacere il ritorno di Eros Puglielli, regista spesso sottostimato dalla nostra industria cinematografica che lo ha costretto per oltre dieci anni a rifugiarsi in produzioni seriali televisive. In attesa di trovare una distribuzione per Nevermind, film a episodi presentato all’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, il regista di Occhi di Cristallo si riaffaccia sul grande schermo con una favola tenera, romantica e delicata con tanto di orco cattivo (villain o uomo nero) e pulzella in pericolo. Solo che qui, al posto del cavaliere senza macchia e senza paura, c’è un uomo-bambino affetto da autismo che si crede un supereroe. Copperman riprende in parte, con toni e modi diversi, il filone italiano supereroistico inaugurato (male) da Salvatores con Il ragazzo incredibile e proseguito (meglio) da Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot.  Puglielli si “limita” a dirigere, non è l’autore della sceneggiatura, aspetto che invece ha curato in prima persona in tutti i suoi lungometraggi precedenti. È un peccato perché non tutto fila liscio in uno script che in poco più di novanta minuti mette un po’ troppa carne al fuoco. Il regista romano crede in quel che racconta e in come lo racconta, si discosta il più possibile dal nostro cinema e guarda altrove, da Il favoloso mondo di Amélie di Jeunet, citato esplicitamente nell’incipit, a Forrest Gump, per alcune forti assonanze che legano i protagonisti dei rispettivi film, passando per il costume da supereroe, parente povero di quello di Iron Man, e per le ispirate musiche fiabesche di Andrea Guerra che si rifanno con insistenza a quelle di Danny Elfman, compositore di fiducia di Tim Burton. Non priva di ingenuità e difetti, questa fiaba sulla diversità e sulle fragilità presenti in ognuno di noi, contaminata con la commedia sentimentale e i cinecomics rappresenta un tentativo, fragile ma genuino, non pretenzioso e fin troppo ambizioso come accaduto di recente con Il Primo Re, di proporre qualcosa di diverso nell’asfittico panorama del nostro cinema. Prodotto da Eliofilm con Rai Cinema, in sala distribuito da NotoriusPictures. (bs)

voto_3