SELFIE

(Regia: Agostino Ferrente, 2019, con Alessandro Antonelli, Pietro Orlando)

SELFIE

Selfie potrebbe essere visto quasi come un piccolo doppio speculare di La paranza dei bambini. In questo periodo in cui abbondano i prodotti audiovisivi sui lati oscuri (e non) di Napoli, Ferrente ha un’idea giusta e originale su come cercare di entrare dentro le vite dei ragazzi che questa realtà la vivono mentre, allo stesso tempo, le sopravvivono tenendosene fuori. L’ossessione contemporanea dei selfie, qui diventa un mezzo per un’indagine antropologica, partendo da come due ragazzi qualsiasi del Rione Traiano di Napoli hanno elaborato l’ingiusta morte di un loro amico. Evitando ogni tipo di retorica che uno sguardo esterno potrebbe aggiungere, con la sola urgenza del realismo che entra in scena attraverso le immagini al grado zero (si vedono anche estratti da filmati di YouTube, però coi protagonisti del film in campo che guardano un monitor, nonché riprese da telecamere di sorveglianza – soluzione già sperimentata da Chris Marker nel suo ultimo Stopover in Dubai). Eppure è cinema, grazie all’intervento del montaggio, all’assenza di musiche esterne e a sequenze che rimangono impresse (una per tutte, l’esegesi de L’infinito di Leopardi), sollevando domande e senza l’ambizione di voler chiudere i conti. Se Soderbergh attraverso l’Iphone fa comunque cinema di genere (con attori professionisti e il linguaggio di un film canonico), qui siamo nell’avanguardia per le masse, con Ferrente che sembra quasi rifarsi alle teorie di Zavattini sul film (che non sono solo quelle sul pedinamento) che deve poter essere fatto da chiunque e deve creare senso anche attraverso gesti insignificanti della vita quotidiana. Purtroppo, come sempre capita, iniziative del genere non vengono valorizzate dal pubblico, dati i miseri incassi, nonostante un passaggio al festival di Berlino. Poi non lamentiamoci che i film italiani sembrano tutti uguali. (dv)

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