ABOUT ENDLESSNESS
(Regia: Roy Andersson, 2019, con Martin Serner, Tatiana Delaunay, Bengt Bergius)
Varie situazioni che coinvolgono varia umanità, tra cui si segnalano preti piangenti che hanno perso la fede in Dio, conoscenti che si ignorano, condannati a morte che implorano pietà (e non ne ricevono nemmeno dal prete), psicologi che si disinteressano dei loro pazienti, magari per andarsene a bere da soli. E persino una scena con Hitler e i suoi gerarchi asserragliati dentro il bunker negli ultimi giorni. Il nuovo film di Roy Andersson, tornato in Concorso alla Mostra di Venezia cinque anni dopo la vittoria del Leone d’oro con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, è ancora una volta una laconica sequela di gag e brevi sequenze modestamente correlate tra di loro e orchestrate come quadri animati dalle tinte desaturate. Ma stavolta le metafore suonano arrugginite, non evocano davvero lo stato comatoso di una civiltà (come certo ambiscono a fare, basta vedere la scena del volo sulla città di Colonia distrutta), la risata stessa scatta molto più a fatica. Tragico e ironico sono un effetto di scrittura, l’infelicità viene annunciata e offerta allo spettatore con un compiacimento che sembra frutto di fretta e scarsità di elaborazione. Nonostante questo, la durata è breve (76 minuti) e il film si guarda quindi senza seccarsene, ma non c’è molto che ci consenta di scendere in profondità. (dz)
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