5 È IL NUMERO PERFETTO
(Regia: Igort, 2019, con Toni Servillo, Valeria Golino, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Lorenzo Lancellotti)
Anche se gli autori sottolineano che proviene da una graphic novel, 5 è il numero perfetto va collocato nel nascente filone dei cinefumetti italiani (Lo chiamavano Jeeg Robot, Copperman, Dolceroma e altri), e molti cinefili vedono in esso una rinascita del genere “come si faceva una volta”. Il paratesto, infatti, vorrebbe rifarsi a quell’immaginario, se si pensa all’ambientazione (Napoli, 1972), alla locandina dai colori accesi, all’appello a un genere specifico e soprattutto alla presenza del numero nel titolo: per chiarire ogni dubbio, Servillo si rifugia in un cinema nel quale viene proiettato Cinque dita di violenza (ma è una tendenza anche italiana, si pensi a Mario Bava e ai suoi epigoni). Quando ci si addentra nel film vero e proprio, si scopre che così non è perché, se è opinabile il paragone con Sin City, le sparatorie tra velocizzazioni e ralenti tengono conto delle attuali tendenze del cinema action orientale (e non è sbagliato tirare in ballo Johnnie To). Per il resto, tolta la bella fotografia di Nicolaj Brüel (Dogman), non tutto funziona a dovere: la regia di Igort è ancora acerba, come dimostra l’incertezza che scontano i tempi narrativi e il fatto che l’ambientazione napoletana è ridotta a ornamento (uso del dialetto a parte, poteva essere girato ovunque). Pecche che hanno anche i personaggi di contorno che appaiono piuttosto sbiaditi (nonostante un bel monologo su Kriminal e le “americanate”), compresa una Golino piuttosto decorativa. Sulla carta un’operazione seducente, ma del noir mancano la malinconia, il fatalismo e, ci venga permesso dato l’abuso di turpiloquio napoletano, la cazzimma. (dv)
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